Sulla folle ruota di Recife in nottata è uscito il 4-3, punteggio talismano che, ma solo nelle dimensioni, riporta alla memoria il ben più glorioso precedente con l’allora Germania Ovest a Messico ’70. Fine dei peana. Per il resto, da salvare solo l’enorme volontà e la capacità di soffrire di un gruppo che, già spremuto, ha dovuto sopportare l’oltre 80% di umidità della capitale del Pernambuco. Ma, soprattutto, ha dovuto patire le scorribande di un Giappone, ottimamente disposto da Zaccheroni, che ha messo a ferro e fuoco un’inguardabile retroguardia azzurra. Non che gli altri reparti abbiano fatto molto meglio, anzi. Da elogiare solo la generosità di Balotelli, lasciato solo là davanti ma sempre vivace, così come l’intraprendenza di Giaccherini (un palo e un assist per lo juventino) e la sostanza di De Rossi ( filtrante illuminato per Marchisio autore dell’assist decisivo per Giovinco alla sua prima rete azzurra nonché rete dell’1-2 che ha dato la scossa agli storditi compagni). Quindicesima marcatura in nazionale per il romanista (record di sempre per un centrocampista puro, Baloncieri che lo sopravanza non era, in realtà, tale). A fronte dello zero in casella in maglia giallorossa. Misteri della fede. O, semplicemente, l’effetto benefico che produce sul centrocampista di Ostia la minor pressione e i minori veleni che si respirano rispetto al clima mefitico della Capitale. Detto questo, è quantomeno doveroso tributare i più sinceri complimenti alla formazione nipponica che, va detto per correttezza, non erano meno stanchi degli azzurri, avendo appena completato una sorta di mini-tour mondiale per chiudere il proprio girone di qualificazione con un meritato primo posto e la qualificazione, prima squadra in assoluto a farlo sul campo (il Brasile, paese organizzatore lo era già d’ufficio). Un Giappone che ci ha sovrastato sul piano tecnico, atletico e tattico per almeno 80 minuti. Sempre primi sul pallone, sempre vincitori nei contrasti, interpreti di un possesso palla veloce e stordente da far invidia anche al non trascendentale Barcellona di quest’anno, i giapponesi avrebbero meritato non solo i tre punti ma anche un ideale cappotto tanto è parsa evidente la disparità di valori in campo. I primi quaranta minuti sono stati un saggio di calcio spettacolo degli asiatici ai quali il 2-0 parziale rendeva solo in parte giustizia. Un risultato propiziato da un rigore trasformato da Honda (a lungo inseguito lo scorso inverno dalla Lazio e si capisce il perché), fischiato da un disastroso arbitro, l’argentino Abal che, per compensare, non cacciava Buffon( e anticipiamo qui uno dei grandi temi del prossimo mondiale: la qualità estremamente modesta dei fischietti extraeuropei), e da una fantastica girata del gioiellino del Manchester United, Kagawa (in precedenza protagonista assoluto anche in Bundesliga tra le file del Borussia Dortmund e stiamo parlando dell’èlite del calcio mondiale). Italia impalpabile: inesistente davanti, imprecisa in mezzo con Prandelli costretto a rimangiarsi già al 30’ la scelta di un inconcludente Aquilani, imbarazzante dietro con errori marchiani quanto insoliti ( uno su tutti: il pallone regalato da De Sciglio in occasione del rigore-non rigore assegnato al Giappone). Poi, proprio allo scoccare del 40’ la scarica elettrica innescata da una punizione alta di un soffio di Pirlo. Era la prima conclusione nello specchio di una squadra fin lì relegata a rango di spaesata comparsa. Seguiva un angolo che lo stesso juventino pennellava per la rabbiosa capocciata di De Rossi, sempre più il presente di questa squadra e sempre meno “capitan futuro” della Roma. A stretto giro di posta Giaccherini centrava il palo. Si andava al riposo convinti di essersi messi il peggio alle spalle e di poter replicare la rimonta con il Brasile di febbraio. I primi dieci minuti della ripresa confortavano l’impressione con un Giappone che, esaurito l’entusiasmo, sbandava paurosamente dietro regalando palla a Giaccherini e conseguente autorete per il pareggio. Poi, il rigore, anche questo contestatissimo (il braccio di Hasebe era frutto di una carambola da distanza ravvicinata) per il 3-2 di un Super Mario, confermatosi ancora cecchino infallibile dagli undici metri. Partita in discesa, avranno pensato gli azzurri in campo e molti di noi davanti allo schermo. In realtà, la fiammata dei nostri aveva consumato le ultime stille di energia disponibili. Di lì in poi solo una squadra in campo a cercare pareggio ( lo trovava Okazaki con una bella girata aerea) e vittoria, sfiorata in una miriade di occasioni dove solo pali, traverse, fuorigioco provvidenziali ( anche nella stessa azione!) e qualche imprecisione di troppo negavano la giusta ricompensa a Zaccheroni e ai suoi. Il palleggio dei giapponesi ritornava preciso e brillante come nella prima mezz’ora, l’Italia era tutta schiacciata in area come un pugile alle corde in attesa del gong. L’undici in maglia bianca dominava tanto in mezzo al campo quanto sugli esterni e cingeva d’assedio la nostra porta. Francamente, visto da parte azzurra, un’agonia imbarazzante. Il tutto condito dagli olè irridenti del pubblico brasiliano avvinto dallo spettacolo della manovra nipponica, in attesa che il toro incassasse la banderilla fatale. Ma il destino aveva in serbo altri progetti: nell’unica azione degna di tale nome, De Rossi (ammonito, salterà il Brasile) trovava il corridoio giusto corridoio per innescare la corsa del subentrato Marchisio sul cui assist Giovinco non sprecava il più comodo degli appoggi. Entusiasmo quasi incredulo sulla panchina azzurra. E Giappone che avrebbe meritato ampiamente anche il 4-4 negato dall’ennesimo palo.
Ora sabato, suggestiva sfida al Brasile ( ma, vista la gara con il Messico, sarebbe più opportuno dire al solo Neymar) che vale il primato del girone ( ma, vista la differenza reti, sarà necessario vincere). Sperare in una ritrovata brillantezza fisica è chiaramente un’utopia ma pensare di poterla fare franca giocando ancora in questo modo sarebbe anche molto pretenzioso nei confronti della buona sorte. Il passamontagna lasciamolo a Recife. Tra l’altro poco indicato per un clima così torrido.
Daniele Puppo
Napoletano, 44 anni, giornalista professionista con 17 anni di esperienza sia come giornalista che come consulente in comunicazione. Ha scritto di politica ed economia, sia nazionale che locale per diversi giornali napoletani. Da ultimo da direttore responsabile, ha fatto nascere una nuova televcisione locale in Calabria. Come esperto, ha seguito la comunicazione di aziende, consorzi, enti no profit e politici. Da sempre accanito utilizzatore di computer, da anni si interessa di internet e da tempo ne ha intuito le immense potenzialità proprio per l'editoria e l'informazione.
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