Un italiano è detenuto a Erbil, nel Kurdistan iracheno, con l’accusa di essere un jihadista. Lo ha affermato lunedì il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni.
L’arresto è stato eseguito a luglio scorso dall’unità antiterrorismo della polizia del governatorato di Erbil. Secondo l’ambasciatore italiano a Baghdad Massimo Marotti, le autorità italiane ne sono state informate ed ora, gli stanno fornendo assistenza consolare e sono in contatto continuo con la sua famiglia, ma non hanno ancora ricevuto gli atti con i dettagli delle accuse a suo carico.
Massud Barzani, presidente del governo regionale del Kurdistan iracheno, ha fornito ulteriori dettagli sul caso al quotidiano arabo al-Hayat: entrato in Iraq dalla Turchia con un visto regolare, l’uomo avrebbe dichiarato alle guardie di frontiera di volersi unire all’ISIS e sarebbe stato subito fermato.
Le generalità dell’uomo non sono state rese note, ma Barzani ha dichiarato che non è di origini straniere. Si ipotizza che si tratti della stessa persona citata lo scorso 18 gennaio dal ministro dell’Interno Angelino Alfano, certo Giampiero F., l’unico italiano detenuto in Iraq con accuse di terrorismo. Nato 35 anni fa a Reggio Calabria, Giampiero F. è cresciuto a Bologna, dove si è convertito all’Islam. La sua militanza antioccidentale sarebbe confermata da messaggi inviati tramite Whatsapp, pubblicati dal Fatto Quotidiano. La sua famiglia ne è rimasta sorpresa e teme che sia stato plagiato.
Nel tempo intercorso dall’’arresto dell’italiano, il sedicente califfo dell’ISIS Abu Bakr al-Baghdadi ha sospeso il reclutamento di miliziani stranieri per timore di infiltrazioni di agenti dei servizi di altri paesi. Negli ultimi giorni, la maggiore preoccupazione del Califfato sembra essere quella di rinforzare le difese intorno alla città di Mosul, già obiettivo dei peshmerga curdi: una fonte militare anonima citata dalla CNN sostiene che gli USA potrebbero decidere di attaccare la prossima primavera. Il Pentagono, prosegue la fonte, sostiene che il Califfato abbia perso la capacità di espandersi, e starebbe valutando la fattibilità di un intervento diretto via terra.
In questi giorni l’ISIS deve fare i conti con la massiccia offensiva aerea giordana ordinata da re Abdullah II dopo l’esecuzione del pilota Muaz al-Kasasbeh. Nei giorni scorsi, Amman ha annunciato di aver distrutto “il 20% delle capacità militari dell’ISIS” nei primi tre giorni di raid, e di non avere intenzione di fermarsi finché il gruppo di al-Baghdadi non sarà annientato.
Nelle stesse ore, il collettivo di hacker Anonymous ha sferrato un nuovo attacco contro il califfato, firmandosi con lo slogan “Sarete trattati come un virus, e la cura siamo noi”. Siti resi inaccessibili, account Facebook e Twitter disattivati, indirizzi e-mail e IP esposti al pubblico: questa è la strategia degli hacker contro l’ISIS. L’attacco arriva a un mese dalla strage nella redazione di Charlie Hebdo, avvenuta l’8 gennaio a Parigi, dopo la quale Anonymous aveva dichiarato guerra senza quartiere ai jihadisti di tutto il mondo.
Nel frattempo, l’ISIS ha diffuso un nuovo reportage di John Cantlie, il prigioniero-propagandista britannico. Nel video, girato ad Aleppo, Cantlie elogia i prezzi popolari dei generi alimentari e tesse gli elogi dell’educazione coranica in vigore nel Califfato.
Un altro video diffuso in Egitto mostra invece la decapitazione di dieci prigionieri, accusati di essere spie del Mossad, nella regione del Sinai settentrionale. Gli autori del gesto dovrebbero essere i miliziani di Ansar Bayt al-Maqdis, gli allievi egiziani di al-Qaeda che si sono nominati “provincia del Sinai dello Stato islamico”, in conflitto armato con il governo del Cairo fin dai tempi della rivoluzione del 2011.
Filippo M. Ragusa
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