La stilista Coco Chanel, che scelse di rimanere sola per tutta la vita, soleva ripetere: “Sarebbe molto difficile per un uomo vivere con me, a meno che lui non sia estremamente forte. E se lui è più forte di me, allora sono io che non riesco a vivere con lui”. Per l’attrice statunitense Mae West invece il matrimonio non era “altro che prostituzione contratta. Gli uomini sono il mio hobby. Sposandomi sarei costretta a rinunciarvi.”
Ai nostri tempi la tendenza a non sposarsi e rimanere single è diventata sempre più praticata, le donne sono felici e fiere di esibire il proprio stato di single, sono femmine dei nostri tempi, anche piuttosto mature, che niente hanno a che spartire con quelle della stessa condizione dei tempi andati, con le così dette ‘zitelle’. Ebbene sì, oltre alle stagioni, ai sapori, agli uomini, anche le zitelle di una volta, povere donne umiliate e tormentate dallo scherno e dall’onta sociale della propria solitudine, non esistono più. Quelle con il fazzoletto nero per la messa, con baffi e barbetta, vestite di triste e con l’odore stantio, donne sempre intente a cucire e filare la lana: le nostre care e acide zitelle senza età definita, appartengono oramai a una categoria scomparsa per sempre. Le zitelle di una volta erano donne che non sposandosi restavano sole, senza un uomo e senza una indipendenza economica, in epoche storiche in cui la povertà femminile era percepita da tutti come molto più pericolosa di quella maschile, per l’inevitabile legame con l’immoralità e la promiscuità. Le donne single, erano agli occhi della società oggetto di sospetto e paura. Attività sessuali illecite e prostituzione sembravano essere le logiche conseguenze della mancanza di una presenza maschile che rendeva le donne ancora più vulnerabili. Fu soprattutto a partire dal XVI secolo che la repressione della prostituzione e la protezione dell’onore femminile acquisirono grande rilevanza con la conseguenza che rifugi per ex prostitute e fanciulle pericolanti furono aperti in un gran numero di città italiane. Ma fu soprattutto con lo spirito della controriforma che la prostituta, la vergine, la sposa e la vedova divennero «oggetti sociali su cui sviluppare una “strategia di bonifica e di controllo integrale ed egemonica”. A tal scopo, dalla metà del 1500 su iniziativa di S.Ignazio di Loyola, venne istituita anche a Roma, nella Chiesa di S.Caterina dei Funari, un’opera di assistenza e beneficienza chiamata “Confraternita delle Vergini Miserabili Pericolanti”. L’intento era quello di prevenire, così come si legge nella bolla di certificazione “il pericolo che correvano molte zitelle, figliuole per lo più di cortigiane o di donne di mala vita e persone di estrema povertà, le quali o per la poca cura dè loro parenti o per l’angustia della povertà o per lo male esempio de le loro madriimpure, facilmente potessero scapitare dell’onestà”. Si trattava nella massima parte di adolescenti figlie della povertà e del malaffare educate per 7 anni, poi fornite di dote e maritate. Esse dovevano essere di gradevole aspetto, residenti a Roma da almeno due anni e di età dai nove ai dodici anni.
Durante i sette anni che rimanevano ospiti del monastero (situato dietro via delle Botteghe oscure), la confraternita, oltre che ai loro bisogni materiali, degli alimenti, del vestire ed altro, pensava anche e soprattutto a quelli spirituali e morali. Erano poste sotto la sorveglianza e direzione di dodici suore agostiniane, anch’esse del tutto soggette alla confraternita e alle costituzioni di questa, che poteva aumentarle o diminuirle.
Mediante la diligente e vigile opera delle suddette monache, che inizialmente furono scelte tra le stesse ragazze aventi vocazione religiosa, venivano educate ed istruite a tutte le virtù cristiane, imparavano lavori di cucito, di ricamo ed ogni arte domestica, che potesse formare di ciascuna di esse una donna onesta e timorata di Dio per poi essere avviata, a seconda delle attitudini, alla vita matrimoniale o a quella monastica. La scelta maritale era affidata a confratelli, nominati di volta in volta in congregazioni e scelti tra i più pii e di avanzata età. Questi avevano l’incarico di accertarsi della buona indole, moralità e condizione economica di quei giovani che chiedevano in moglie le fanciulle, chiamate “figlie del luogo” alle quali, all’atto del matrimonio, era concessa una dote di 50 scudi e una veste bianca, e altri 25 scudi alla nascita del primo figlio. Le “figlie del luogo” venivano visitate ed assistite anche dopo aver contratto matrimonio e per quelle che restavano vedove fu istituita, accanto al monastero, la casa delle vedove con le stesse regole delle zitelle. La Pia opera, sorta poveramente, con la carità dei romani, con elemosine provenienti da ogni parte e grazie ai cospicui lasciti dei cardinali protettori , prosperava e cresceva sempre di più arrivando ad ospitare fino a 160 ragazze. Le zitelle uscivano dal monastero solamente in tre circostanze: per maritarsi, monacarsi e nella festa di S. Caterina del 25 novembre quando le giovani fanciulle, vestite di bianco le più grandi, da angioletti le più piccole, andavano in processione verso la Basilica dei SS.Apostoli, in tale occasione potevano essere viste dalla popolazione e scelte dai futuri mariti. Ad esse era fatto assoluto divieto di parlare, accettare regali o fiori durante il percorso e si può dire che dopo la loro apparizione in pubblico, maggiori erano le richieste di matrimonio. Ma un giorno se ne rubarono una. Secondo la cronaca del Diario Romano del maggio 1640 “e quando fu il primo di Maggio 1611 uscirno fora dal monastero di Santa Catherina de’Funari et andorno processionalmente alla Basilica de’ Santi Apostoli, et andavano le più piccole innanzi vestite da angeli et da Sante, ma perché se ne smarrì una, “o che fusse rubbata “, non furno da indi in poi lasciate uscire più fora “e questo fino all’anno 1640 quando la processione riprese per l’importante motivo ”perché non si maritavano et niuno le dimandava più per moglie.” Col passare del tempo però l’opera cominciò a perdere la sua primitiva fisionomia e tralasciare gli scopi che si erano prefissati gli antichi fondatori. A S.Caterina de’ Funari fu creata una scuola a pagamento per fanciulle di onorata famiglia col divieto di pernottarvi. Nel 1809 infine il conservatorio subì la sorte di tutti i conservatori romani e venne assoggettato ad una Commissione amministratrice terminando la sua storia.
Ma l’Italia è un Paese meraviglioso, un Paese dove si intrecciano realtà di zitelle antiche, con altre realtà di zitelle ancora esistenti. Per chi è interessato ad incontrare zitelle o meglio donne in cerca di marito deve andare il 6 dicembre di ogni anno a Bari. Nella Cattedrale di S. Nicola, alle 5 del mattino ha inizio la “ Messa dell’alba” dove confluiscono le ragazze disperate che non hanno marito. Dopo la funzione si ammassano nella cripta vicino alla “colonna miracolosa”: un’antica leggenda dice che per trovare marito entro l’anno devono girarvi intorno tre volte, sette giri se lo vogliono anche ricco.
E’ successo di frequente che durante questa antichissima esibizione, per via delle staffe di mantenimento che restringono di molto il passaggio, molte zitelle si sono incastrate tra la colonna e il muro. Per evitare fastidiose ironie e penose richieste di soccorso, nel 2007 la colonna è stata circondata da una gabbia di ferro. Adesso le zitelle in cerca, non girano più ma infilano bigliettini, diretti a S.Nicola, nelle fessure della millenaria colonna. Le ragioni di tanta devozione e speranza nascono da una leggenda. Si narra infatti che S. Nicola fosse venuto a conoscenza di un ricco uomo decaduto che non poteva maritare le tre figlie decorosamente le voleva avviare alla prostituzione. Il Santo per evitarlo prese una quantità di denaro avuto da poco in eredità, e avvoltolo in un panno lo gettò nella casa dell’uomo in tre notti consecutive, in modo che le figlie avessero la dote per il matrimonio. Per questo S. Nicola di Bari viene considerato il Santo protettore e patrono delle zitelle. E chissà pure delle Single.
Fabio Longhi de Paolis
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