Un tempo era la piazza della borgata a mettere paura. O il vicoletto buio, che di notte si riempiva di malavita. Oggi i social network sono la versione 2.0 dei luoghi del crimine. E tutto diventa molto più facile: basta un computer, la connessione a internet e il gioco è presto fatto. I giornali si riempiono sempre più di cronaca nera 2.0.
Si comincia con la fattispecie di reato forse più internazionale: gruppi terroristici che, attraverso i social, reclutano le loro nuove leve. Le lodi all’Isis si sprecano in un luogo dove le parole possono essere aggiornate in tempo reale (e dove è molto facile coltivare i semi dell’odio).
I furti di identità e le diffamazioni
Per questi basta davvero poco. O si creano profili fake – quindi, pagine false di una persona – oppure si violano quelli ufficiali già presenti. Poi basta iniziare a inviare messaggi a destinatari vari per rovinare in poco tempo la reputazione di qualcuno. Si chiamava Tiziana Cantone, aveva 31 anni era di Mugnano di Napoli: si è suicidata dopo la diffusione di un video hot sui social. Con un clic si è distrutta una vita. E spunta il “revenge porn” (il porno di rivincita): avviene quando una coppia si lascia e lui decide di postare foto intime di lei, nuda. Ora c’è chi chiama questa pratica Ncii (Non consensual intimate imagery, immagini intime non consensuali), inserendo così anche gli scatti di voyerismo.
Oltre a questa galassia, poi, i commenti diffamatori sono all’ordine del giorno. Immagini – meglio conosciute come meme – di Adolf Hitler e inneggianti al nazismo sono la regola. Senza contare l’hate speech, i discorsi che parlano di odio (etnico, religioso, sportivo). O tutte le volte che si sparla e si diffondono informazioni che tali non sono (le famose fake news). Si può riassumere tutto con una frase di Umberto Eco:
“I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli”.
Le minacce
Proprio l’invasione che racconta Umberto Eco si può trasformare in quella di piccoli criminali. E’ questa la storia del piromane napoletano che minacciava le sue vittime con messaggi su Facebook. Era riuscito, nel gennaio scorso, ad appiccare le fiamme a tre bar del napoletano. Il suo profilo psicologico – secondo quanto emerso dagli investigatori – era particolarmente articolato. Si trattava di una persona frustrata per i tanti no che aveva ottenuto negli stessi locali perché voleva lavorare come barman. Così, si era trasformato grazie ai social.
La piazza dello spaccio
E’ facile inviare messaggi in codice sulle reti sociali. Appuntamenti per lo scambio di droga sono comuni. C’è anche chi osa e che posta foto di marjiuana invitando a provarla. I primi di novembre proprio per questo è finito in manette un uomo. I carabinieri di Tarcento, in provincia di Udine, lo hanno accusato di detenzione per lo spaccio di stupefacente e istigazione al consumo: era facile, per lui, mettere le immagini e fare la sua vetrina virtuale.
La vendita e l’abuso commerciale
Su diversi social network sono presenti pagine di compravendita di prodotti. In qualche caso – capita soprattutto d’estate nelle località di mare – queste diventano vetrina per venditori abusivi di pesce. E qui la tracciabilità del prodotto, con la scusa di un fantomatico ‘chilometro zero’, se ne va a farsi friggere (proprio come la frittura di paranza).
Pedopornografia
E’ facile, a quanto pare, organizzare sulle reti sociali gruppi legati alla pedopornografia. A testimonianza di ciò le inchieste fatte dalla polizia postale che scovano pedofili in rete. Gli orchi usano i social per cercare foto di bimbi per poi darsele in pasto. Le foto rubate di minorenni – messe in buona fede dai genitori per descrivere in pubblico momenti felici – sono all’ordine del giorno.
I cinque minuti di folle celebrità
Ci sono i criminali, poi, che si divertono a farsi vedere in diretta mentre al mondo dichiarano tutta la loro follia. Ad aprile 2017 a Chicago una ragazza di quindici anni è stata stuprata da un branco, in diretta facebook. Almeno 40 persone hanno assistito alla trasmissione e nessuna di loro ha chiamato la polizia. Sempre in aprile, negli Usa, balza alle cronache la vicenda del 37enne Steve Setephens, ricercato perché a Cleveland aveva ucciso un uomo, trasmettendo l’omicidio in diretta. Si è sentito braccato dalla polizia che lo cercava e così si è suicidato. Ma non è solo un fatto americano. Nello stesso mese in Thailandia un uomo di 21 anni si è impiccato mostrando il gesto sempre usando il sistema di Facebook live, poco dopo aver impiccato la figlia.
La chat e il cannibalismo
“Mangerò tutto di te, dai piedi al tuo viso. Sarai consumata completamente”: scriveva così Chris C, a Eva, una ragazza di 14 anni adescata in chat. Lui, un cinquantenne inglese del Kent, adescava le sue vittime sul web. Lei, una messicana che viveva in Germania, aveva ricevuto già il biglietto per andare a casa di lui. Solo che poi, la polizia, ha fermato quello che lui poi ha descritto come una mera fantasia.
Il gioco di guardie e ladri
C’è comunque chi si diverte su Facebook a dare segnali di sfida alla polizia. “Non mi prendete” scrive sui social ad aprile 2017 Joaquin Button Matos, evaso il 18 febbraio dal carcere di Caixas.
Allo stesso tempo, però, Fb diventa uno strumento utile anche alle forze dell’ordine. Lo sa bene un uomo che a marzo 2016 aveva rubato gioielli da una casa di Correggio. Il padrone di casa aveva diffuso il video registrato dall’impianto di sorveglianza. A furia di condividere, dopo 11 mesi, i carabinieri sono riusciti a identificarlo proprio attraverso i social. O lo sa benissimo il narcotrafficante Ivan Fornari scoperto in Spagna grazie alle sue foto-profilo. In fondo, anche nella nera 2.0, i criminali hanno alle spalle le guardie pronti ad acciuffarli. Non solo con un clic.
Giampiero Valenza