La Grecia si prepara al referendum sulle richieste dei creditori internazionali, in programma domenica, in un’atmosfera di attesa e inquietudine.
E mentre il governo di Alexis Tsipras rischia di spaccarsi in due tra intransigenti e favorevoli all’accordo ancor prima del voto, le previsioni delle istituzioni finanziarie dipingono scenari tutt’altro che rassicuranti.
Stamattina sul quotidiano E Kathimerini è comparso un sondaggio realizzato da GPO secondo cui il sì all’accordo sarebbe in vantaggio sul no di circa quattro punti percentuali, precisamente 47% contro 43%.
Se fosse veramente questa la fotografia delle tendenze nell’elettorato greco, sarebbe un’inversione netta rispetto ai numeri pubblicati mercoledì, che davano i no al 46%, in netto vantaggio sul 36% dei sì e con un 17% di indecisi.
Ma poche ore dopo la pubblicazione GPO ha smentito con forza di aver mai fatto quel sondaggio. “Non abbiamo alcuna responsabilità per quelle cifre pubblicate dai media e useremo tutti i mezzi legali per tutelare i nostri interessi”, si legge in un comunicato dell’azienda. I sondaggi, sostiene GPO, devono essere fatti in modo “responsabile”, soprattutto a così poca distanza da una scadenza tanto importante.
Stamattina il ministro delle Finanze Yanis Varoufakis, in un’intervista a Bloomberg TV, si è detto di nuovo sicuro di dimettersi nel caso in cui gli elettori accettino le richieste dei creditori. In ogni caso, è fermamente intenzionato a non sottoscrivere alcun accordo che non contenga una ristrutturazione del debito greco.
Varoufakis ha anche provato a rassicurare gli spettatori, affermando che in caso di vittoria del sì il governo firmerà immediatamente l’ultima proposta arrivata dai creditori, e annunciando che comunque vada il referendum le banche sono “perfettamente capitalizzate” e riapriranno martedì.
Nel Paese, però, la chiusura degli istituti di credito, i controlli sui movimenti di capitali e il divieto di prelevare più di 60 euro dai bancomat, in vigore da lunedì scorso, stanno mettendo a dura prova la pazienza dei cittadini. Nelle città scarseggiano beni di consumo e benzina, perché i venditori hanno difficoltà a pagare i fornitori, e davanti ai pochi sportelli bancari rimasti aperti per pagare le pensioni a chi non ha un conto corrente si sono formate lunghe file e in qualche caso si è arrivati alle mani.
Il quotidiano To Vima ha attaccato il governo accusandolo di aver ridotto la Grecia “tecnicamente e sostanzialmente in bancarotta a causa dei suoi errori e le sue decisioni”.
Intanto, mentre i partiti di opposizione trattano fra di loro per comporre una coalizione pro-Troika che possa prendere il controllo del Paese in caso di dimissioni dell’esecutivo guidato da Syriza, affiorano crepe nella squadra di governo.
Ieri il vicepremier Yannis Dragasakis si è rifiutato di far parte del gruppo che si è collegato in teleconferenza con l’Eurogruppo. Secondo fonti vicine al governo, Dragasakis si vorrebbe proporre come uomo di punta di un eventuale governo di coalizione, e avrebbe il sostegno dell’ex Governatore della banca di Grecia Georgios Provopoulos e forse anche del suo successore Yannis Stournaras.
La delegazione, d’altra parte, ha scelto di riunirsi non a villa Maximou, sede istituzionale degli uffici del premier, ma al ministero delle Finanze, dove il ministro Varoufakis ha fatto collocare uno striscione – ben visibile dalla finestra – che recita “No al ricatto dell’austerità”.
Tra l’ala più favorevole al compromesso – che contiene il suo storico braccio destro Nikos Pappas, oltre a Dragasakis e al ministro dell’Economia Georgios Stathakis – e gli “intransigenti” come Varoufakis e il capo della delegazione incaricata di gestire i negoziati con il gruppo di Bruxelles, l’economista marxista Efklidis Tsakalotos, il premier Tsipras si è ormai schierato definitivamente con gli ultimi, dopo vari tentennamenti che hanno prodotto fra l’altro le lettere inviate nei giorni scorsi ai leader della Troika e dell’Eurogruppo.
A convincere il primo ministro dovrebbe essere stata la reazione rigida dell’Europa alla decisione di indire il referendum, proposta per primo dal ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schaeuble ma che poi ha trovato appoggio compatto nei governi dell’Eurozona.
L’unico leader straniero rimasto ad appoggiare il progetto di Tsipras è il presidente del Venezuela Nicolas Maduro, un capo di Stato la cui fedeltà alle regole del gioco democratico è stata messa più volte in dubbio, e che alle soglie del default ha imposto alla Banca centrale, al ministero delle Finanze e all’Istituto di statistica del suo Paese di smettere di pubblicare i dati sull’andamento dell’economia nazionale.
Nel frattempo il presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem, parlando al Parlamento olandese all’Aia, ha indirizzato un aut aut ad Atene: se nel referendum vincerà il no, sarà “incredibilmente difficile” che le istituzioni europee approvino un nuovo salvataggio.
Contro il referendum si è espressa anche l’agenzia di rating Moody’s, che oggi ha tagliato la nota di merito sul debito della Grecia a causa del “rischio aggiuntivo” per i creditori privati – che detengono circa il 10% dei buoni del Tesoro di Atene – dovuto alle incertezze connesse con il voto e con la possibile conseguenza del Grexit.
I titoli di debito greci scendono così da Caa2 a Caa3, terzultimo gradino della scala usata da Moody’s, indice di un “rischio molto alto” di insolvenza.
Standard & Poor’s ha pubblicato invece un rapporto in cui si calcola che l’uscita della Grecia dall’euro produrrà un aumento degli oneri sul debito pubblico nell’Eurozona pari ad almeno 30 miliardi di euro tra il 2015 e il 2016. Fra i singoli Stati, quello che fronteggerebbe l’aumento più gravoso sarebbe l’Italia, con 11 miliardi.
Filippo M. Ragusa
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