L’odio indirizzato contro le donne, espresso dagli italiani nei loro tweet, è costante e compatto. E’ quanto emerge drammaticamente dal quarto rapporto condotto da Vox Diritti – Osservatorio italiano sui diritti in collaborazione con l’Università Statale di Milano, l’Università di Bari, La Sapienza di Roma e il Dipartimento di Sociologia della Cattolica di Milano. L’osservatorio ha analizzato i 215.377 tweet pubblicati tra marzo e maggio 2019, cioè in concomitanza con la campagna elettorale, periodo nel quale gli odiatori della rete, i cosiddetti hater, si scatenano maggiormente.
Al primo posto di questa classifica del cattivo pensiero, si colloca l’odio contro i migranti, espresso in 50mila tweet e aumentato del 15% rispetto all’anno scorso. Non c’è da sorprendersi, dato che nel medesimo periodo molti politici, impegnati nella campagna per le Europee, avevano scelto gli stranieri come proprio principale bersaglio. Quasi il 57,59% dei tweet totali ha avuto al centro migranti, ebrei e musulmani, e tra questi, quelli in cui si esprime l’odio nei loro riguardi è altissimo, l’assoluta maggioranza. L’anno scorso, la percentuale si attestava invece sul 36,92%.
Qualcosa dunque è cambiato, ma cosa? “L’odiatore non è più l’anonimo leone da tastiera, quello che lancia il sasso di un tweet e poi nasconde la mano. Oggi si fa riconoscere. Vuole farsi riconoscere! – spiega Vittorio Lingiardi, professore ordinario di Psicologia Dinamica presso La Sapienza, Università di Roma – Ha il petto in fuori e rivendica la ribalta. Non si sente più solo, ma legittimato. Si tratta di un cambiamento radicale e preoccupante. I bersagli dell’offesa, invece, sono sempre gli stessi”.
Non accenna a diminuire, e resta invece stabile, l’odio nei riguardi delle donne, che si è manifestato con ben 39.000 tweet. E senza aver bisogno di essere aizzato dalla politica. Segno di una cultura patriarcale e misogina profondamente radicata nella nostra Nazione. Cultura che poi trova sfogo nell’intollerabile numero di femminicidi che ogni anno si compiono in Italia. Le donne, anche quando sono vittime di violenza, vengono insultate e discriminate. Contro di loro agiscono, come attivatori del linguaggio d’odio, la presenza di un certo abbigliamento o di comportamenti che un codice machista bolla come provocatori o istigatori. Le donne sono spesso vittime di attacchi concentrici, suscitati da eventi locali o internazionali cui fanno seguito ampie polemiche, come il Convegno delle famiglie di Verona o le diatribe sulle famiglie arcobaleno.
Nella prima fase del lavoro il Dipartimento di Diritto Pubblico italiano e sovranazionale dell’Università degli Studi di Milano ha identificato quei diritti, il cui mancato rispetto incide pesantemente sul tessuto connettivo sociale.
Successivamente i ricercatori del Dipartimento di Psicologia Dinamica e Clinica della Facoltà di Medicina e Psicologia, La Sapienza Università di Roma, specializzati nello studio dell’identità di genere e nell’indagare i sentimenti collettivi che si esprimono in rete, si sono concentrati sull’elaborazione di una serie di parole “sensibili”.
Nella terza fase infine, grazie a un software progettato dal Dipartimento di Informatica dell’Università di Bari – una piattaforma che utilizza algoritmi di intelligenza artificiale per comprendere la semantica del testo e individuare ed estrarre i contenuti richiesti – si è svolta la mappatura vera e propria dei tweet.
I dati raccolti sono stati poi analizzati ed elaborati da un punto di vista psico-sociale dal team di psicologi, cui è seguita l’analisi da un punto di vista sociologico, effettuata dal team di ItsTime (Italian Team for Security, Terroristic Issues & Managing Emergencies) centro di ricerca che fa capo al Dipartimento di Sociologia dell’Università Cattolica di Milano.
Quest’anno poi, per la prima volta il software è stato istruito per valutare anche il livello di aggressività dei messaggi e si è dimostrato utile, per meglio comprendere il loro orientamento violento. Spesso infatti a parole di una certa intensità espresse nel mondo virtuale, seguono episodi di violenza nel mondo reale. Per questo mappare l’odio è inanzitutto utile come forma di prevenzione.
L’analisi dei tweet ha consentito anche la loro geolocalizzazione identificando le zone dove l’intolleranza è maggiormente diffusa. La concentrazione è soprattutto nelle grandi città: Roma è la capitale dell’antisemitismo. In tutto sono 6 le categorie individuate come principali bersagli: ebrei, migranti, donne, omosessuali, disabili, musulmani. A Napoli i più odiati sono i disabili, gli omosessuali e le donne; a Torino prevale l’islamofobia, così come a Venezia dove si accompagna all’omofobia. Firenze è con Bologna tra le città più misogene. Ma è a Milano che va il primato, qui infatti gli hater se la prendono indistintamente con tutte le categorie, ad esclusione degli ebrei.
“La Mappa dell’Intolleranza 4.0 mostra alcune evidenze assai significative del clima che si respira nel Paese – spiega Silvia Brena, giornalista e co-fondatrice di Vox- Osservatorio italiano sui Diritti – La prima, riguarda l’impatto che il linguaggio e le narrative della politica hanno sulla diffusione e la viralizzazione dei discorsi d’odio. La seconda riguarda il ruolo dei social media, ormai corsia preferenziale di incitamento all’intolleranza e al disprezzo nei confronti di gruppi minoritari o socialmente più deboli”.
E’ dunque necessario agire al più presto e su più fronti: sia costringendo urgentemente i social ad una forma di auto-regolamentazione, sia ripartendo da un’educazione civica. Per riconoscere il disagio e permettergli di esprimersi in un dialogo costruttivo è bene riscoprire i valori fondanti del patto sociale alla base delle nostre democrazie.
Elisa Rocca
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