E’ la Lega, ancor più dopo l’addio dei finiani, l’architrave del governo Berlusconi. È stata fondamentale, rimanendo agganciata al Cavaliere, per mandare all’aria il progetto finiano di regicidio da parte del Pdl nei confronti del premier, ma anche le velleità ribaltoniste. E mentre si corre verso il federalismo fiscale, bandiera leghista, il Carroccio è anche il partito che meno di tutti, sondaggi alla mano, teme il probabile voto anticipato. Quasi padrona d’Italia, insomma, anche se fosse per lei l’Italia sarebbe quantomeno molto diversa.
Sono passati 21 anni da quel 22 novembre del 1989 quando a Bergamo vengono sottoscritti davanti a un notaio l’Atto Costitutivo e il testo dello Statuto del Movimento Lega Nord, il nuovo soggetto confederale che dovrà unire definitivamente la vecchia Lega Lombarda di Umberto Bossi con le altre leghe e movimenti autonomisti del Nord Italia (Liga Veneta, Piemont Autonomista, Uniun Ligure, Lega Emiliano-Romagnola, Alleanza Toscana). Pochi giorni dopo, il 4 dicembre, nasce il Movimento Lega Nord. Segretario è lo stesso Bossi. S parte con un senatore e un deputato, due europarlamentari, 60 consiglieri comunali, due provinciali. Di lì a poco, il botto. Tangentopoli sta per spazzare via la Prima Repubblica e la Lega, alle elezioni politiche del 1992, con l’8,6% alla Camera e l’8,2% al Senato, ottiene 25 senatori e 55 deputati (allora si votava con il proporzionale). Il resto è storia da Seconda Repubblica. La Lega vince le elezioni del ’94 con Berlusconi, e l’anno dopo lo manda a casa dandogli poi del “mafioso”. Resta da sola alle successive elezioni del ’96, causando la sconfitta del Polo delle Libertà.
Ci vorranno 5 anni perché gli ex alleati tornino a abbracciarsi: succede nel 2000 e l’anno dopo la Casa delle Libertà (Fi, Lega, An, Udc) è di nuovo al governo. Berlusconi ha capito: da allora i padani saranno sempre più determinanti, tanto da annettersi in pratica un uomo del nord, Giulio Tremonti, che però è di Forza Italia. Certo, i lumbard di oggi non sono gli stessi degli albori. Ieri volevano la secessione o, nella versione raffinata dell’ex ideologo Gianfranco Miglio, le tre macroregioni.
Oggi si accontentano di un federalismo soltanto fiscale. Che peraltro, come spiega il sociologo Luca Ricolfi, a forza di mediazioni dell’instancabile ministro Calderoli, un vero federalismo non è (anche se basta a far gridare allo sfracello sotto Roma). Perché non lascia le tasse sui territori ma punta solo a farle redistribuire dallo Stato in modo più vantaggioso per le regioni settentrionali che quel gettito producono per la maggior parte. Ieri era quasi calvinista e sognava una Chiesa del nord contro i “vescovoni” di Roma (ladrona). Oggi sguaina la spada crociata contro le unioni gay e con Bossi e Calderoli va in missione dal numero uno della Cei Angelo Bagnasco. Per mettere una pezza sulle frizioni registrate col mondo cattolico per la propria politica ai margini della xenofobia contro l’immigrazione, questa mai cambiata. Ieri era liberista e antistatalista, ciò che fa sospirare l’ex ministro del Bilancio ed ex leghista Giancarlo Pagliarini. Oggi sponsorizza la cordata tricolore che s’è presa Alitalia nel tentativo (fallito) di salvare Malpensa, e le Province guai a chi le tocca. Ma, politicamente, ha vinto alla grande. Ha consensi in continua crescita, s’è presa Veneto e Piemonte e progetta uno sbarco in grande stile persino nella rossa Emilia-Romagna. Poi, appunto, a breve potrà sostenere di aver vinto la battaglia storica del federalismo. Che riguardo ai danè non sarà una rivoluzione, ma qualcosa cambierà.
Ed ecco che, mentre la crisi porta al pettine nodi troppo a lungo ignorati, mentre a via XX settembre Tremonti prova a tagliare tutto il tagliabile per non far deflagrare il bilancio dello Stato, ci si accorge che la torta si è molto rimpicciolita. Col federalismo potrebbero restringersi anche diverse fette, e si corre ai ripari.
Anche al Mezzogiorno è tutto un fiorire di forze territoriali. C’è lo spregiudicato Mpa del governatore Siciliano Raffaele Lombardo, che è rimasto in sella con un ribaltone praticamente milazzista. C’è in Puglia IoSud della popolare senatrice ex missina ed ex Pdl Adriana Poli Bortone, che alle ultime regionali ha fatto perdere il centrodestra dando il secondo mandato a Nichi Vendola. E ci sarà tra poco, ancora in Sicilia, la Forza del Sud dell’inquieto sottosegretario Gianfranco Micciché, che però, si dice, ha il beneplacito di Berlusconi (che non aveva scelta). Partiti che, se si va al voto, saranno forse determinanti per il premio di maggioranza regionale del Senato. Buon compleanno, Italia unita.
Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *
Salva il mio nome, email e sito web in questo browser per la prossima volta che commento.
Δ
Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.
© Copyright 2020 - Scelgo News - Direttore Vincenzo Cirillo - numero di registrazione n. 313 del 27-10-2011 | P.iva 14091371006 | Privacy Policy