Almeno 717 pellegrini sono morti schiacciati dalla folla alle porte della Mecca, la città più santa dell’Islam, in Arabia Saudita. Secondo quanto afferma la Protezione civile saudita, i feriti sono almeno 863.
La strage, accidentale, è avvenuta nella località di Mina, alle porte della metropoli, dove oggi – mentre tutti i musulmani celebrano Eid al-Adha, la “festa del Sacrificio”, la più solenne ricorrenza nel loro calendario liturgico – si svolge il rito della “Lapidazione del diavolo”, uno dei passaggi del Hajj, il pellegrinaggio rituale che tutti i musulmani devono compiere almeno una volta nella vita.
Tutto lascia pensare che la strage sia stata un incidente: all’origine di tutto ci sarebbe stato uno spostamento brusco di un gruppetto di pellegrini, e il contagio del panico avrebbe fatto il resto.
L’incidente non è avvenuto sul colossale ponte dove si svolge la “lapidazione”, teatro di stragi simili negli anni scorsi, ma in una strada dell’accampamento – che conta più di 160 mila tende – dove per tradizione i pellegrini passano la notte prima del rito. Sul posto sono accorsi oltre quattromila volontari e duecento ambulanze. Si teme però che il bilancio non sia ancora definitivo. L’afflusso di centinaia di feriti, tra l’altro, sta mettendo a dura prova il funzionamento degli ospedali locali.
Negli ultimi anni, l’afflusso dei pellegrini alla Mecca è aumentato esponenzialmente. Le autorità hanno risposto limitando i visti – ogni anno ne concedono circa due milioni; il record, oltre tre milioni e duecentomila, risale al 2012 – e vietando ai singoli fedeli di compiere più di un pellegrinaggio in cinque anni.
La lapidazione rituale consiste nel lanciare sassolini – raccolti nella piana di Muzdalifa, nelle immediate vicinanze dell’area sacra – in direzione di tre pilastri decorati, che rappresentano il diavolo. Il rito rievoca il gesto con cui, secondo i musulmani, Abramo scacciò il diavolo che cercava di convincerlo a non sacrificare il figlio Isacco come Dio gli aveva ordinato.
Al rituale di Mina partecipa ogni anno più di un milione di persone: per questo nel 2004, dopo la morte di 251 persone nella calca, le autorità hanno deciso di demolire il ponte sul quale si accalcano i fedeli e sostituirlo con una struttura grande il triplo, progettata per facilitare l’accesso – ed eventualmente la fuga – ed evitare gli assembramenti. I lavori iniziarono nel 2006, dopo un’altra strage analoga, in cui morirono circa 350 pellegrini. Sempre per lo stesso scopo, le autorità religiose hanno proclamato una fatwa in cui si ricorda ai fedeli che il rito è altrettanto valido a qualsiasi ora del giorno, e quindi non c’è motivo di concentrarsi nelle ore intorno al mezzogiorno.
Nonostante tutti i tentativi, però, anche il Hajj di quest’anno, il 1436 del calendario islamico – che dura 354 giorni, seguendo i cicli lunari, e conta gli anni a partire dall’Hijra, la fuga di Maometto dalla Mecca a Medina – è stato funestato da due stragi. Oltre a quella odierna, ne era accaduta un’altra due settimane fa: una gru impiegata in lavori di manutenzione è crollata sui pellegrini accalcati nella sala di preghiera della Grande Moschea, uccidendone almeno 107.
L’incidente con il maggior numero di vittime risale al 1990, e anche in quel caso a uccidere fu un’ondata di panico nella calca. Teatro di quella strage fu la galleria pedonale che collega la Grande Moschea al sito di Mina. Le vittime allora furono 1426.
Filippo M. Ragusa
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