Allarme impiego per i malati cronici, per coloro i quali non riescono a conciliare l’orario di lavoro con le esigenze di cura e assistenza. Sono proprio loro, già penalizzati nella salute, a rischiare il licenziamento o il mancato rinnovo del rapporto di lavoro (63 per cento). Ma anche la situazione dei familiari (41 per cento) che li assistono può essere compromessa. Innanzitutto, molti di loro (circa il 60 per cento) denuncia di riscontrare difficoltà nella concessione dei permessi retribuiti, il 45 per cento nella concessione del congedo retribuito di due anni; il 49 per cento evita di prendere sul lavoro permessi per cura, il 43 per cento nasconde la propria patologia e il 40 per cento si accontenta di eseguire un lavoro non adatto alla propria condizione lavorativa.
Sono dati contenuti nel XII Rapporto nazionale sulle politiche della cronicità che è stato presentato a Roma dal Coordinamento nazionale delle associazioni dei malati cronici (CnAMC) di Cittadinanzattiva. L’indagine mostra che l’assistenza sociosanitaria costa e non si può rischiare di perdere il posto di lavoro: il 54 per cento ritiene troppo pesante o oneroso il carico assistenziale non garantito dal Servizio sanitario nazionale. Si spendono in media 1.585 euro l’ anno per tutto ciò che serve alla cosiddetta prevenzione terziaria (diete particolari, attività fisica, dispositivi e tutto ciò che è utile per evitare le complicanze), più di 1.000 euro per visite ed esami a domicilio, o ancora in media 3.711 euro l’ anno per adattare la propria abitazione alle esigenze di cura. Chi non può pagare, in una percentuale che arriva anche all’80% di chi è in cura, rinuncia alla riabilitazione, al monitoraggio della patologia, ad acquistare i farmaci non dispensati, alla badante, all’ acquisto di protesi e ausili non passati dal servizio sanitario nazionale.
Il Rapporto, dunque, mostra un quadro poco rassicurante. Avere una o più patologie croniche o rare, o prendersi cura di una persona malata, è infatti diventato un lusso che non ci si può più permettere, perché i costi diretti e indiretti della malattia risultano insostenibili per un numero sempre maggiore di pazienti e di famiglie.
Ritardare o rinunciare alle cure necessarie, perdere il posto di lavoro, confrontarsi con la crisi dei redditi familiari e con le discriminazioni regionali nell’accesso alle prestazioni socio sanitarie è ciò che vivono sulla propria pelle i cittadini grazie ad anni di politiche di disinvestimento del welfare e di erosione dei diritti. Non possiamo accettare che per fare cassa si continui a smantellare il Ssn o peggio ancora a svendere i diritti dei cittadini alla salute, al lavoro e all’inclusione sociale.
Lo dice Tonino Aceti, coordinatore nazionale del Tribunale per i diritti del malato e responsabile del Coordinamento nazionale delle associazioni dei malati cronici di Cittadinanzattiva .
Le associazioni dei malati cronici chiedono quindi al Governo e al Parlamento
un’azione concreta, a partire dalla legge di stabilità in discussione, eliminando l’ insopportabile misura prevista dalla legge 214 del 2011 e dal nuovo regolamento Isee secondo cui i trattamenti assistenziali come indennità di invalidità civile e di accompagnamento sono considerati fonti di reddito e quindi da considerare nel computo dei redditi familiari. Chiediamo inoltre al Governo e alle Regioni di avviare un confronto anche con le associazioni di cittadini e di pazienti sia sul Patto per la salute, sia sulla prossima spending review, che rappresentano le vere partite per il nostro Servizio sanitario nazionale. Non vogliamo infatti correre il rischio che queste misure possano comportare un’ulteriore compressione di tutele e di diritti.
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