Libertà di stampa, l’Italia al 73° posto

Peggio della Moldavia, meglio del Nicaragua. Nella classifica della libertà di stampa, stilata ogni anno da Reporter senza Frontiere (Rsf), l‘Italia scivola al 73esimo.  Il nostro Paese non era mai precipitato così in basso, perdendo ben 24 postazioni e andando a finire in coda alle nazioni occidentali.

Scivolano anche gli Stati Uniti, nonostante una solida storia di sensibilità nella difesa del giornalismo, e scendono al 49.mo posto, perdendone comunque tre, soprattutto dopo le pressioni della magistratura americana sul reporter del New York Times James Risen, specializzato in questioni di sicurezza nazionale e whistleblowing. perché rivelasse la fonte delle sue informazioni. Il caso, che incrimina il suo libero State of War , viene alla luce nel 2008 e si conclude solo a fine 2014 con il riconoscimento del diritto alla segretezza.

L’Italia, come gli Usa, sono  gli indicatori d’un anno molto disgraziato per la libertà di stampa in tutto il mondo, un vero e proprio disastro: nella classifica Rsf infatti tra le democrazie si salva soltanto la Francia, che guadagna un posto e sale il 38.mo, e pochi altri pochi paesi di aree dove tuttavia la libertà di stampa è rimessa alla discrezione di chi poco democraticamente ricopre il potere: la Costa d’Avorio, la Georgia, il Nepal, il Brasile.

“Un anno difficile per i giornalisti”, hanno commentato l’organizzazione non governativa che dichiara di avere come obiettivo la difesa della libertà di stampa, “tra le minacce da parte della mafia, tra gli altri, le cause per diffamazione ingiustificate sono molto aumentate”. Minacce che, come nel caso del gravissimo attentato al giornale francese satirico Charlie Hebdo sono andate molto oltre.

La classifica sulla libertà di stampa che Reporter senza Frontiere pubblica ogni anno si basa in parte su un questionario che contiene domande di tipo quantitativo sul numero di violazioni di vario genere, sul numero di giornalisti, assistenti all’informazione e cibercittadini imprigionati o uccisi per motivi connessi alle loro attività, sul numero di giornalisti rapiti o fuggiti in esilio, su quanti di loro hanno subito violenze fisiche e arresti, e sul numero di mezzi di comunicazione censurati. In caso di occupazione militare di uno o più territori, qualunque violazione da parte di rappresentanti delle forze occupanti è considerata violazione del diritto all’informazione in territorio straniero e viene incorporata nel punteggio del paese occupante. Un’altra parte del questionario viene invece  inviata a esperti esterni e a membri della rete di RSF e si concentra su problemi difficili da quantificare, come per esempio il grado di autocensura dei provider di informazione, l’ingerenza governativa nei contenuti editoriali, o la trasparenza dei processi decisionali del governo.

L’ultimo rapporto Rsf conta 129 cause di diffamazione “ingiustificate” contro i cronisti nei primi 10 mesi del 2014, Dato che per tutto il 2013 si è fermato a 84. La maggior parte delle cause di questo tipo sono intentate da personaggi politici, e “costrituiscono una forma di censura“. I ricercatori citano la mafia italiana tra gli “agenti non statali” che soffocano l’informazione, insieme all’Isis, Boko Haram e ai cartelli della droga latinoamericani.

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