Sarà l’AISE a coordinare l’intervento delle forze speciali italiane in Libia. Mentre dal paese nordafricano arriva la notizia della morte di Fausto Piano e Salvatore Failla, due dei quattro tecnici sequestrati l’estate scorsa, usati come scudi umani nei combattimenti fra l’ISIS e il governo di Tripoli, da palazzo Chigi è arrivato il decreto che fissa le linee guida della missione.
Il Corriere della Sera, che ha dato la notizia per primo, scrive che i cinque articoli del testo sono stati presentati dal premier Matteo Renzi al presidente della Repubblica Sergio Mattarella nell’ultima riunione del Consiglio supremo della Difesa. Tutti gli atti relativi sarebbero stati secretati.
Il testo attribuisce alla presidenza del Consiglio, attraverso il dipartimento per le informazioni sulla sicurezza, il potere di autorizzare l’AISE – i servizi segreti attivi all’estero – a coordinare le operazioni sul campo dei corpi speciali. Fra gli altri punti toccati ci sarebbero regole d’ingaggio che includono la licenza di uccidere e promettono impunità per vari reati.
Circa cinquanta incursori del reggimento “Col Moschin” sarebbero pronti a partire immediatamente per la Libia, dove prenderanno contatto con gli agenti dell’intelligence.
Sul territorio del paese martoriato dalla guerra civile sono già presenti “esperti militari” impegnati a combattere l’ISIS: oggi, in un’intervista a Le Figaro, lo ha confermato l’ambasciatore libico in Francia, Alshiabani Abuhamoud. Gli stranieri non sarebbero “solo francesi” né sarebbero schierati “solo a Bengasi”. La stampa internazionale lo scriveva da giorni, ma l’intervento dell’ambasciatore ha spazzato via ogni dubbio residuo.
Intanto l’Autorità che gestisce il canale di Suez ha dato la notizia del passaggio della portaerei francese Charles De Gaulle, diretta dal Golfo persico al Mediterraneo. Secondo la stampa araba, a bordo dell’ammiraglia della Marina transalpina ci sarebbero “gruppi combattenti a disposizione dell’esercito francese per raccogliere informazioni sulla Libia per aria e per mare”.
Mentre il governo si appresta ad autorizzare le operazioni speciali, proseguono i preparativi della missione di peace enforcement italo-americana. La fase di “pianificazione e di coordinamento” del “possibile contributo alla sicurezza della Libia”, come l’ha definita il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni martedì scorso a New York, è a un livello “molto avanzato” e “va avanti da parecchie settimane”. Ma prima di mandare in Libia il contingente italiano, che dovrebbe consistere in circa tremila uomini dei reggimenti San Marco e Tuscania, servirà l’autorizzazione del Parlamento.
L’Italia, poi, ha insistito tanto nelle ultime settimane sulla necessità che si insedi il governo di unità nazionale libico guidato da Fayez al-Sarraj, che Roma considera l’unico organo in grado di richiedere l’intervento degli eserciti stranieri in forma legittima. Su questo punto, finora, dalla Camera dei Rappresentanti di Tobruk sono arrivate solo fumate nere.
Nonostante i libici siano per lo più favorevoli al governo Sarraj, “non siamo ancora riusciti a convincere quelli che si oppongono all’accordo”, ha riferito ieri l’inviato ONU in Libia, Martin Kobler, al Consiglio di sicurezza. Ma è inammissibile, ha proseguito, che la Libia rimanga tanto a lungo “ostaggio di alcune minoranze”. Quindi ha promesso – ammesso che i due parlamenti rivali non sorprendano tutto il mondo votando sì alla fiducia – di riconvocare le delegazioni che avevano redatto l’Accordo politico libico, i negoziatori che dopo trattative estenuanti avevano nominato la commissione di presidenza guidata dallo stesso Sarraj che ha poi scelto i ministri.
Dal campo, nota Kobler con rammarico, niente di nuovo: il vuoto politico favorisce l’ISIS, che guadagna terreno “a ovest, a sud e ad est”, e la situazione umanitaria “è peggiorata ulteriormente”. I miliziani in nero continuano a commettere “atrocità e sgozzamenti” a Sirte e rappresentano una minaccia sempre più grave per tutto il Mediterraneo.
F.M.R.
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