Accordo raggiunto sul governo di unità nazionale in Libia. Lo ha riferito a notte fonda l’inviato speciale ONU Bernardino Leon: dopo negoziati lunghi e difficili è emersa una lista di nomi graditi ai rappresentanti dei due governi rivali, quello di Tobruk, riconosciuto dalla comunità internazionale, e quello della capitale Tripoli, dove sono in maggioranza i Fratelli musulmani.
Ora toccherà ai governi rivali approvare l’accordo e confluire nel nuovo esecutivo di solidarietà. Il premier designato è Fayez Serraj: originario di Tripoli, fa parte del parlamento di Tobruk, ma non era nella prima lista di candidati presentata dal governo che ha sede in Cirenaica. I suoi vice saranno Ahmed Maetiq (Tripoli), Moussa Kony (indipendente) e Fathi Majbari (Tobruk).
“Questo governo avrà bisogno del sostegno di tutti i libici e sono sicuro che ci sarà anche molto supporto dalla comunità internazionale”, ha dichiarato Leon. Nel suo discorso ha espresso “gioia perché c’è almeno una chance”, ma anche rammarico, e simboliche scuse, “per non essere stati capaci di proporre prima questo governo”: “Troppi libici hanno perso la vita, troppi bambini e troppe madri hanno sofferto”.
Bernardino Leon è Rappresentante speciale ONU per la Libia dal 2014. Ha passato i primi mesi del suo mandato nel tentativo di convincere i rappresentanti dei due governi a sedersi allo stesso tavolo. I negoziati veri e propri sono partiti all’inizio del 2015, a Skhirat, in Marocco, e si sono svolti in salita costante fino all’annuncio della notte scorsa.
Il primo consenso fra le parti, su una lista di punti principali, era arrivato il 13 settembre scorso, ma le trattative si erano bloccate subito dopo proprio sui nomi dei protagonisti del nuovo governo.
La crisi umanitaria libica affonda le radici nella Primavera araba. Le strutture statali del paese erano già ridotte all’osso sotto il regime di Muammar Gheddafi: finché è rimasto in carica, il colonnello ha sempre cercato di assicurarsi la fedeltà delle singole tribù e di evitare quanto più possibile la loro integrazione in una società unitaria. E così alla caduta del regime, propiziata da molti interventi occidentali a favore di varie fazioni ribelli, in Libia non c’erano strutture in grado di sopravvivere al capo carismatico, e il paese è precipitato nell’anarchia. Le rendite del petrolio e la posizione strategica della Libia hanno fatto il resto, trasformando il paese in un crocevia di traffici illeciti di ogni sorta – droga, armi, esseri umani – gestiti da signori della guerra ricchissimi e privi di scrupoli.
Le elezioni del 2012 hanno consegnato al paese un parlamento, ma il controllo del territorio è rimasto saldamente nelle mani delle milizie, che non hanno mai deposto le armi. La guerra civile vera e propria è scoppiata nell’estate del 2014 intorno alla questione del controllo di Tripoli. La coalizione Fajr Libya (“Alba della Libia”), formata da milizie di ispirazione islamica, ha rifiutato i risultati delle nuove elezioni – boicottate dagli islamisti – e preso con la forza il controllo della capitale, dove ha insediato un suo anti-parlamento legato ai Fratelli musulmani. A quel punto l’organo legislativo uscito dalle urne si è dovuto rifugiare a Tobruk, in Cirenaica, a pochi chilometri dall’Egitto, dove nel frattempo si era consumato il colpo di Stato militare che aveva portato al potere Abdul Fattah al-Sisi.
È a questo punto, sullo sfondo di un paese devastato da una guerra irrisolta, dove oltretutto alcune milizie hanno giurato fedeltà all’ISIS, che è entrato in scena Bernardino Leon.
Ban Ki-Moon, Segretario generale dell’ONU, ha “elogiato i partecipanti ai negoziati per aver raggiunto un testo finale per un accordo politico”, e li ha esortati a “non sprecare questa opportunità”. “Ora – ha commentato – è il momento che le parti approvino questa proposta e firmino l’accordo senza indugi”.
È soddisfatto anche il ministro degli Esteri italiano, Paolo Gentiloni: l’intesa di stanotte “è un’importante tappa del percorso verso l’auspicabile creazione di un governo di unità nazionale”.
F.M.R.
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