È arrivata la firma sull’intesa per il governo di unità nazionale in Libia. I rappresentanti dei due governi rivali – quello islamista di Tripoli, che contesta l’esito delle elezioni di agosto 2014, e quello riconosciuto dalla comunità internazionale, che si riunisce a Tobruk – hanno sottoscritto l’accordo a Skhirat, in Marocco, dove si sono svolti i negoziati sotto l’egida dell’ONU, rappresentata dall’inviato speciale Martin Kobler.
È solo il primo passo sulla strada della pacificazione nazionale, che si preannuncia ancora molto lunga: i due governi rivali non controllano tutto il territorio libico – molte parti sono in mano a milizie indipendenti, tra cui l’ISIS, che nella città di Sirte ha la sua base più importante al di fuori di Siria e Iraq – e anche al loro interno l’intesa non è stata accettata da tutti. Ad esempio il portavoce del governo di Tripoli, Jamal Zubia, ha detto al Guardian che “nessuna delle persone che sta firmando questo accordo ha l’autorità per farlo”.
Nonostante tutto, però, quello di oggi è il primo risultato concreto di trattative estenuanti, un salto in avanti rispetto a tutte le intese sfumate all’ultimo minuto nei mesi scorsi, tra cui quella annunciata a ottobre da Bernardino Leon, il predecessore di Kobler.
“Questa è una giornata storica per la Libia”, ha detto l’attuale inviato ONU. “State cambiando le pagine della storia”, ha detto Kobler ai delegati dei due parlamenti arrivati in Marocco per la cerimonia della firma. Erano presenti 90 componenti della Camera dei rappresentanti di Tobruk e 27 membri del Congresso nazionale di Tripoli. Insieme a loro e a Kobler si sono dati appuntamento a Skhirat numerosi ministri degli Esteri dei paesi che hanno avuto un ruolo nelle trattative, tra cui l’italiano Paolo Gentiloni e lo spagnolo José Manuel Garcia Margallo.
L’accordo prevede la creazione di un Consiglio di presidenza composto da uomini indicati dall’ONU: sei compresi nella prima lista proposta dall’ONU – il premier Fayez Sarraj, i tre vice Ahmed Maetig, Fathi Majbri e Musa Koni, e i due ministri Omar Aswad e Mohammed Ammar – ai quali sono stati aggiunti due rappresentanti del Fezzan, la regione sud-occidentale della Libia, e uno della Cirenaica. Il Consiglio, a sua volta, dovrà scegliere i componenti di un esecutivo unificato che possa rappresentare tutte le componenti del paese.
Al governo, come ha ricordato Kobler, toccherà “assicurare i bisogni alimentari del popolo libico, iniziare un dialogo sulla sicurezza globale, contribuire alla guerra contro l’ISIS, oltre a porre un accento particolare sulla situazione a Bengasi – diversi quartieri del capoluogo della Cirenaica sono sotto il controllo di milizie armate l’una contro l’altra – e nel sud del paese”.
L’inviato ONU ha lodato il “coraggio”, la “perseveranza” e la “determinazione” di chi ha partecipato alle trattative, ma ha ricordato che al tavolo della riconciliazione nazionale c’è spazio anche per chi dovesse decidere di deporre le armi dopo la firma, “e il nuovo governo deve urgentemente dare una risposta a quanti si sentono messi ai margini”.
“Abbiamo raggiunto un accordo, ma ora la sfida più grande è applicarlo”, ha dichiarato a Reuters Salah Huma, deputato a Tobruk. Nei giorni scorsi i presidenti dei due parlamenti, in occasione del loro primo storico incontro a Malta, avevano chiesto più tempo per spuntare un testo più soddisfacente.
A preoccupare gli osservatori è soprattutto la prospettiva che alcune milizie decidano di non rispettare gli accordi, in autonomia oppure a sostegno delle posizioni di qualche deputato contrario: i due abbozzi di stato presenti attualmente in Libia non hanno la forza di costringerli a riallinearsi sulle posizioni ufficiali. Il rapporto fra gruppi armati e rappresentanti politici in Libia è basato più su convenienze e accordi personali che su un senso dello stato com’è inteso in Europa, e a complicare ulteriormente la situazione locale intervengono le eredità dello smantellamento delle strutture dello stato deciso dal regime di Muammar Gheddafi, il dittatore spodestato e ucciso nella rivoluzione sostenuta dalla NATO nel 2011, che preferiva trattare lungo linee di fedeltà personali e tribali.
“Costruire l’esercito libico e la polizia non sarà istantaneo”, ha dichiarato Kobler, ma “un processo lungo”; e l’esercito gioca “un ruolo importante, e dev’essere unificato”. Si è parlato di questo, con ogni probabilità, nella sua visita-lampo di ieri in Cirenaica, dove ha incontrato il generale Khalifa Haftar. Haftar è il capo militare più influente della Libia; dopo aver fatto carriera nell’esercito sotto il regime di Gheddafi, si è schierato a fianco dei rivoluzionari e poi con il governo di Tobruk, che lo ha ricompensato riconoscendolo ufficialmente comandante delle forze armate.
Nella ricostituzione dell’esercito libico entreranno anche consiglieri stranieri, tra cui è probabile sia prevista una presenza italiana. Come ha notato il ministro Gentiloni, “l’Italia, l’Unione Europea e gli altri paesi coinvolti in questa lunga trattativa sono pronti a fornire il proprio contributo per la Libia”.
A questo proposito è bene ricordare il ruolo di Paolo Serra, consigliere militare del Segretario generale ONU Ban Ki-Moon, impegnato nella creazione di una “cornice di sicurezza” intorno a Tripoli per consentire al nuovo governo di insediarsi nella capitale tradizionale.
Filippo M. Ragusa
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