Libia, ora l’Egitto attacca via terra

Forze speciali egiziane avrebbero attaccato via terra la città di Derna, in Libia, controllata dai miliziani affiliati all’ISIS. Lo sostengono fonti ufficiali del governo egiziano e del governo libico internazionalmente riconosciuto, insediato a Tobruk.

L’incursione sarebbe stata compiuta dalla “Task force 999”, un’unità speciale dell’esercito del Cairo specializzata in operazioni ad alto rischio fuori dai confini nazionali. Le fonti affermano che l’azione militare ha portato alla cattura di 55 militanti pro-ISIS.

L’Egitto è impegnato in operazioni contro i jihadisti in territorio libico da domenica, ma finora si era limitato a bombardare postazioni nemiche in una serie di raid aerei, ufficialmente riconosciuti come ritorsione per l’esecuzione di 21 civili egiziani di religione cristiana copta.

In Libia gli egiziani contano sul supporto delle milizie del generale Khalifa Haftar, ex sostenitore di Gheddafi, ora alleato al governo di Tobruk.

Situata in Cirenaica, a 300 km dal confine egiziano e 170 da Tobruk, Derna è la città dove i jihadisti di Ansar al-Sharia hanno giurato fedeltà all’ISIS, proclamandosene “provincia libica”. La città ha una tradizione pluridecennale di fondamentalismo islamico: è la località di provenienza di 52 libici su 112 presenti nella lista di jihadisti rinvenuta da truppe USA in Iraq nel 2007.

Nel frattempo, le Brigate di Misurata, impegnate contro l’ISIS per conto dell’altro governo libico, di tendenza islamista e insediato a Tripoli, hanno annunciato su Twitter di aver liberato dai jihadisti la città di Sirte. La notizia non è stata confermata ufficialmente, anzi i jihadisti hanno affermato di essere in marcia su Misurata.

Il premier di Tobruk Abdullah Al Thani, intervistato da una radio tunisina, ha riferito che ai terroristi già attivi in Libia si starebbero aggiungendo membri dell’ISIS e di Boko Haram, forse intenzionati a spostarsi in Tunisia.

Il ministero della Difesa di Tunisi ha reso noto di aver schierato unità dell’esercito lungo il confine, per cautelarsi da “eventuali minacce contro l’integrità territoriale del Paese” ed “impedire ogni tentativo di infiltrazione da parte di terroristi”.

Intanto, il think tank inglese Quilliam ha pubblicato un documento tradotto dall’arabo e attribuito a propagandisti pro-ISIS, che invita gli aspiranti jihadisti a non sottovalutare l’importanza strategica della Libia, Paese ricco di armi a buon mercato, vicino alle coste europee ma abbastanza lontano dalla Siria e dall’Iraq da poter allungare sensibilmente il fronte dello scontro.

Un passaggio del documento menziona la possibilità, già ventilata dalle agenzie di intelligence occidentali, che gli aspiranti terroristi possano raggiungere l’Europa mescolandosi ai profughi a bordo dei barconi usati nel traffico di persone.

Sul fronte diplomatico, il governo egiziano ha chiesto all’ONU di revocare l’embargo sulle armi al governo libico di Tobruk. “Non c’è scelta”, sostiene il presidente Abdul Fattah al-Sisi: la soluzione del problema in Libia deve passare per l’intervento militare di una coalizione internazionale.

Proprio per questo, il Ministro degli Esteri egiziano Sameh Shoukry ha chiesto ufficialmente al Consiglio di Sicurezza ONU, che si riunirà oggi in via eccezionale, “pieno sostegno” all’iniziativa militare attraverso l’autorizzazione all’uso della forza.

Con ogni probabilità, al-Sisi intende anche approfittare della situazione per rafforzare il regime amico nei confronti del governo rivale di Tripoli, sostenuto dai Fratelli Musulmani, l’organizzazione che lui stesso ha messo fuorilegge in Egitto dopo averle strappato il potere con un colpo di Stato.

Gli Stati europei e gli USA sembrano aver preso le distanze dalla proposta egiziana, e si sono schierati a favore di un’iniziativa diplomatica volta prima di tutto a comporre le ostilità fra i due governi libici, per poi affrontare insieme il nemico comune.

In una nota congiunta, Italia, Usa, Gran Bretagna, Francia, Germania e Spagna hanno affermato la “impellente necessità di una soluzione politica del conflitto, la cui prosecuzione va a beneficio esclusivo dei gruppi terroristici, ISIS compreso”.

È la linea che il governo italiano ha confermato di voler seguire dopo il vertice di martedì fra il Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, e i ministri Alfano (Interni), Gentiloni (Esteri) e Pinotti (Difesa); linea ribadita nelle telefonate fra Renzi e il Presidente della Repubblica francese François Hollande e fra Gentiloni e il suo omologo USA John Kerry.

Il ministro Gentiloni, in un’informativa urgente alla Camera dei Deputati, ha esortato la comunità diplomatica ad “aumentare gli sforzi”. “Il tempo a disposizione non è infinito”, ha sostenuto il Ministro, e se si esaurisse pregiudicherebbe “i fragili risultati raggiunti”: si impone “un cambio di passo da parte della comunità internazionale”.

Nel frattempo, però, il governo ha provato a cautelarsi dalla minaccia terroristica sul piano interno, assegnando 4.800 soldati alla difesa di obiettivi sensibili sul territorio nazionale.

Intanto, il Ministro della Difesa Roberta Pinotti ha annunciato in un tweet che l’Italia acquisterà tutti i 90 caccia F-35, come “stabilito dal precedente governo”. Il Ministro starebbe valutando la possibilità di ridurre la spesa per l’operazione, stimata in circa 14 miliardi, che la sinistra e le opposizioni hanno chiesto di dimezzare.

Filippo M. Ragusa

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