Non è amichevole l’accoglienza che Tripoli ha riservato a Fayez al-Sarraj, il premier designato del governo di unità nazionale libico. Sarraj è arrivato ieri nella capitale della Libia, ma il governo islamista che amministra da due anni la città – non riconosciuto dalla comunità internazionale – lo ha messo di fronte a un aut aut: andarsene o essere arrestato. Intanto in città il clima è incandescente, con scontri nelle strade fra sostenitori e oppositori del governo di unità nazionale.
Sarraj è arrivato ieri nella base navale di Abu Sitta, circa tre chilometri dal centro di Tripoli. La nave militare con a bordo Sarraj era partita da Sfax, in Tunisia. Si è deciso di viaggiare per mare – aggirando Tripoli e allungando il percorso – perché l’aeroporto di Mitiga, l’unico aperto nella capitale, funziona a singhiozzo per il “deterioramento della sicurezza” in città: nei giorni scorsi è stato più volte chiuso dalle milizie legate alle autorità cittadine. Due compagnie aeree, Afriqiyah Airlines e Libyan Airlines, hanno annunciato di aver sospeso i voli verso la capitale. Le altre hanno spostato i voli verso lo scalo di Misurata.
Nel pomeriggio su internet – soprattutto in Italia – erano circolate voci sulla partecipazione di navi della Marina Militare Italiana allo sbarco a Tripoli, voci smentite dal colonnello Abdulrahman al-Tawil, capo della commissione Sicurezza del Consiglio di presidenza libico: “Nessuna forza straniera ha partecipato all’operazione condotta oggi”, ha dichiarato il colonnello.
Lo sbarco in sé era stato commentato con ottimismo dagli osservatori internazionali: il ministro degli Esteri italiano Paolo Gentiloni aveva parlato di “un altro passo avanti per la stabilizzazione del Paese”, mentre Martin Kobler, l’inviato dell’ONU in Libia, aveva inviato le parti alla “transizione pacifica del potere”. Niente di più sbagliato: Sarraj è stato invitato a fare marcia indietro appena ha messo piede a Tripoli.
Il premier designato “ha due opzioni: consegnarsi alle autorità oppure tornare a Tunisi”. Lo ha detto Khalifa Ghweil, il capo del governo di tendenza islamista, in una conferenza stampa trasmessa dal canale al-Nabaa. Il Congresso nazionale – l’organo legislativo di Tripoli – considera il governo di unità nazionale illegittimo e imposto da potenze straniere: “Infiammerà la situazione a Tripoli e ci imporrà la tutela internazionale”, si legge nel comunicato.
Secondo quanto ha detto Ghweil, Sarraj “è pienamente responsabile del suo ingresso illegale” nella capitale, in altre parole è passibile di arresto. È un passo indietro perfino rispetto alle dichiarazioni di due settimane fa, in cui il capo dell’esecutivo de facto aveva ripetuto che non avrebbe mai appoggiato il governo di riconciliazione, ma aveva promesso che non ne avrebbe ostacolato l’insediamento a Tripoli.
Intanto per le strade della città si scontrano favorevoli e contrari al governo sponsorizzato dall’ONU. Il Libya Herald ha scritto che ieri si sono scambiati “colpi d’arma da fuoco” in “varie parti di Tripoli”, e in corso Omar al-Mukhtar, l’asse stradale del centro cittadino, si sono usate “armi pesanti”. Nella centralissima piazza dei Martiri Salah Badi, un capo delle milizie di Misurata, ha “guidato una manifestazione” contro Sarraj, dispersa dalla milizia rivale di Abdul Rauf Kara. Nella notte è andato a fuoco un tendone eretto in piazza.
Gli scontri fra le milizie si aggiungono alla minaccia permanente di attentati dell’ISIS, aggravando il quadro di una situazione già tutt’altro che tranquilla. “C’è il dispiegamento di milizie ostili”, conferma l’inviato speciale italiano per la Libia, Giorgio Starace. Le strade sono disseminate di posti di blocco e blindati. Da quando Sarraj ha annunciato di voler entrare a Tripoli, lo scorso 18 marzo, diversi gruppi armati gli hanno giurato ostilità. Ma anche all’interno delle stesse organizzazioni le posizioni non sono unanimi. Ad esempio le milizie di Misurata – fra i gruppi più potenti della coalizione Fajr Libya – gli avevano promesso “appoggio totale” già il giorno dopo l’annuncio. E ieri pomeriggio un gruppo di “rivoluzionari figli di Tripoli” ha oscurato al-Nabaa, rete tv vicina al governo di Tripoli, ma accusata da Tobruk di appoggiare i jihadisti. Sullo schermo, al posto dei programmi, compariva la scritta: “Gli abitanti di Tripoli hanno chiuso questa emittente, che incita alla guerra e all’odio. Denunceremo chiunque continui a lavorarvi”.
F.M.R.
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