Se un pm e un gip conoscono già il nome del preteso colpevole di un delitto orrendo come quello che ha avuto per vittima Yara Gambirasio due anni prima dell’arresto, a che pro hanno aspettato così a lungo senza peraltro svolgere ulteriori e significative indagini e riscontri?
E una perizia sul dna dell’imputato può iniziare con una premessa con la quale si afferma che i campioni ritrovati sugli slip della tredicenne sono così deteriorati da non offrire alcuna certezza scientifica?
La frase su cui adesso la difesa di Giuseppe Massimo Bossetti giustamente punta per provare la propria disperatamente urlata innocenza è questa: «Non si possono diagnosticare in maniera inequivoca le sostanze sui vestiti».
Non basta, i Ris mettono decisamente le mani avanti anche in questo punto della perizia in cui affermano che
«..lo studio analitico dei reperti oggetto della presente indagine è stato reso particolarmente difficile dal cattivo stato di conservazione degli stessi e dalla oggettiva complessità dei susseguenti esiti di laboratorio, non sempre ben interpretabili in ragione dell’elevato livello di degradazione biologica delle tracce presenti».
E ancora:
«L’esposizione prolungata del corpo di Yara alle intemperie ed alle ripetute precipitazioni di carattere piovoso e nevoso ha indubbiamente procurato un dilavamento delle tracce biologiche in origine certamente presenti sui suoi indumenti riducendone enormemente la quantità, compromettendone la conservazione e modificandone morfologia e cromaticità, tutto a svantaggio di una corretta interpretazione». «Purtroppo – prosegue il ragionamento del perito dei Ris – non è semplice valutare né riprodurre sperimentalmente- con assoluto rigore scientifico – quanto la degradazione del materiale biologico su questi reperti possa aver influenzato l’attendibilità dei test effettuati”.
Diciamo che in America l’imputato Bossetti a quest’ora sarebbe libero su cauzione e fiducioso in un’assoluzione al processo. Anche se teoricamente in alcuni stati rischierebbe l’iniezione letale.
Ma non è questa l’unica stranezza dell’inchiesta. Ad imporre il più assoluto garantismo verso l’imputato, come si accennava, ci sta anche il mistero della identificazione di Bossetti come probabile assassino avvenuta già due anni prima dell’arresto.
Il 13 luglio del 2012, infatti, i magistrati del caso del brutale omicidio della tredicenne Yara Gambirasio sapevano che il Dna classificato “ignoto1”, era quello di Massimo Giuseppe Bossetti. Lo dicevano le perizie che quel giorno avevano rivelato la compatibilità del dna di Ignoto 1 con quello della signora Ester Arzuffi, oltre che con quello del deceduto Giuseppe Benedetto Guerinoni. I due famosi protagonisti di una relazione extra coniugale per tanti anni negata e tutt’ora oggetto di ulteriori accertamenti.
Tutto nero su bianco nella stessa ordinanza del gip che ha confermato la detenzione in carcere dell’odierno indagato. Il cui dna era stato comparato con uno stratagemma solo due anni dopo.
Più precisamente a pagina 6 del provvedimento del Gip Vincenza Maccora si legge testualmente: “E’ stato quindi eseguito il calcolo biostatico della probabilità di maternità, secondo la formula di Essen Moller. Il calcolo così eseguito consente di affermare che il soggetto di sesso femminile identificato come “206-446 Arzuffi Ester Mito 321” ha una probabilità del 99,999% di essere la madre del soggetto di sesso maschile definito come ignoto 1”
E’ il 13 luglio del 2012 . Nella stessa pagina 6 dell’ordinanza il gip scrive che “dal successivo accertamento anagrafico risultava che Arzuffi Ester aveva avuto tre figli, tra cui Bossetti Massimo Giuseppe, nato a Clusone il 28 10 1970, residente a Mapello, in una zona compatibile con l’area di commissione del delitto, di professione muratore, al quale veniva prelevato un campione di sostanza organica.”
Ergo? Ci ci sono due anni di buco inspiegabili nell’inchiesta visto che la donna era stata identificata due anni prima e il dna del padre di “ignoto 1” pure. E si sapeva di conseguenza che Massimo Bossetti era uno dei tre possibili nati dalla relazione adulterina.
Se veramente combaciavano i due dna nel reperto sulle mutandine di Yara ci sarebbe voluto poco a far fare un esame a ciascuno dei tre figli della donna due anni prima.
Cosa che invece non accade fino al 15 giugno 2014, data in cui con l’espediente dell’etilometro finalmente viene prelevato un campione della saliva di Bossetti per compararla con il dna di “ignoto 1”.
Il dubbio allora per i garantisti è lecito, anche perché sembra una di quelle categorie dello spirito in cui “due più due fa quattro”: da una parte la perizia dei Ris (non dimentichi delle polemiche del caso Meredith, di quello della Franzoni e da ultimo pure del processo in stile “cold case” per l’omicidio Cesaroni) mette le mani avanti e sembra nelle parole introduttive ammettere la difficile dimostrabilità della teoria del Dna del figlio illegittimo e, dall’altra, quella stessa perizia i pm se la tengono due anni nei cassetti in attesa di tempi (mediatici?) migliori.
E quando arriva il momento giusto arrestano Bossetti che due anni prima non si riteneva opportuno far catturare.
Ce ne è abbastanza per dubitare della bontà di questo impianto accusatorio? Se non confessa l’imputato, arrivare a una condanna, persino in Italia che è ormai diventata la patria dell’errore giudiziario (50 mila negli ultimi 25 anni secondo le statistiche di errorigiudiziari.com), sembra impresa alquanto ardua.
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