Esperti da tutti il mondo a confronto in Abruzzo, dal 6 all’8 novembre, per proteggere il lupo e l’ambiente in cui vive e si riproduce, il rilevante ruolo ecologico che svolge e le sue complesse caratteristiche comportamentali e sociali. Dopo 40 anni dall’ emanazione delle prime leggi di tutela del lupo in Italia, e dopo una fase storica di grandi cambiamenti ecologici nei territori non solo appenninici, ma anche di molti Paesi europei, nella quale i lupi sono tornati a colonizzare ampie aree montane e non solo, i ricercatori che da anni, in più parti del mondo lavorano su questa specie si ritrovano per discutere dei problemi comuni e delle prospettive future di studio e di gestione. La località scelta è Caramanico Terme, nel cuore del Parco nazionale della Majella: dal 6 all’8 novembre ospiterà il convegno conclusivo del progetto Life Wolfnet, avviato dal 2010 e cofinanziato dalla Commissione europea: l’ International Wolf Congress. Una tre giorni di lavoro e di confronto tecnico-scientifico su questo affascinante predatore che ha stimolato l’immaginario popolare e di noti narratori fin dall’antichità.
4 novembre, presso la Badia Morronese, a Sulmona, (L’ Aquila) con la riunione di tutta la partnership del Life Wolfnet e l’ approvazione di un documento finale di progetto che conterrà le linee guida per la gestione del lupo in Appennino nei
prossimi anni e che sarà consegnato nelle mani del ministero dell’ Ambiente come contributo al prossimo Piano d’ azione nazionale. Il 5 novembre, sempre a Sulmona, saranno presenti i rappresentanti di aree protette, regioni appenniniche, del ministero dell’ Ambiente, della Salute e dell’ Agricoltura, il Corpo forestale, le associazioni di categoria dei portatori d’ interesse, per siglare insieme un patto per la conservazione del lupo in Appennino e tracciare, per la prima volta in modo
congiunto, la strategia per la coesistenza tra lupo e uomo in Appennino.In Italia il lupo non è mai stato oggetto di progetti di reintroduzione: il recupero della popolazione e la ricolonizzazione di gran parte delle aree montuose dell’Italia peninsulare e di parte delle Alpi è dovuto esclusivamente alle capacità di recupero di questa specie ed al miglioramento delle condizioni ambientali che si sono registrate negli ultimi decenni, con la creazione di nuove aree protette e la ricostituzione di popolazioni di prede naturali.