“Abbiamo premuto il tasto reset”. Ignazio Marino, da giorni nella bufera per la seconda ondata di arresti di Mafia Capitale, a margine della conferenza stampa sul decoro urbano in vista del Giubileo Straordinario torna a difendersi e a difendere il proprio operato.
Scarica su chi lo ha preceduto le responsabilità politiche di una inchiesta che il Pd, da quando sono scattate le manette lo scorso 4 giugno, cerca di allontanare come può, ricorrendo a proclami e scadendo nella bassa retorica politica.
Sì, perché sul piatto della bilancia degli arrestati e degli indagati ci sono esponenti del centrodestra, ma tanti altri sono del centrosinistra. E non solo della vecchia guardia di governo capitolino, quella degli anni di Veltroni, ma anche dell’attuale giunta Marino, con buona pace del primo cittadino e del commissario Orfini che, a più riprese, stanno tentando di ridisegnare i confini di una inchiesta che ha investito ogni propaggine dell’amministrazione, tanto politica quanto istituzionale.
Allo stesso modo appare davvero di retroguardia la difesa del duo Marino – Orfini, che puntualizzano i capi di imputazione – o il reato per il quale sono sotto indagine – gli esponenti dell’altra parte politica, considerato che il quadro rappresentato con tanta dovizia di particolari dal procuratore Pignatone è quello di un vasto, diffusissimo sistema corruttivo che investe tutti, ma proprio tutti, senza distinzione di casacca, ruolo, appartenenza, ideologia, incarico.
Il centrodestra.
Su Massimo Carminati sono state ormai riempite pagine di cronaca. Il Nero di Romanzo Criminale, arrestato a dicembre, è diventato volto noto dell’inchiesta per essere ritenuto dagli inquirenti il ‘braccio’ del sodalizio consolidatosi con Salvatore Buzzi.
Il passato di Carminati, ex Nar, ritorna nella vicinanza con il mondo della destra attuale, quella di Luca Gramazio, figlio di Domenico, ex senatore An e con una lunga militanza nelle fila del Msi. Questo trio è stato ritratto dalle intercettazioni seduto al tavolo della trattoria Dar Bruttone, a due passi da San Giovanni, quartiere caro ai Gramazio e divenuto luogo di attività politica sia nelle sale del Cis, Centro Iniziative Sociali, che nella storica sede della sezione missina di piazza Tuscolo, dove è cresciuta buona parte della destra storica capitolina.
Luca Gramazio, eletto nel 2008 al consiglio comunale di Roma con poco più di 3mila preferenze, in pochi anni passa dal ricoprire il ruolo di vicecapogruppo a quello di capogruppo Pdl. Con l’esplosione nell’estate del 2012 del caso Fiorito e dei rimborsi ai gruppi consiliari della Regione con le conseguenti dimissioni di Renata Polverini, Gramazio, dallo scranno capitolino, si candida alla Regione Lazio. In una campagna elettorale complicata per il centrodestra, riesce ad arrivare primo tra gli eletti del Pdl con oltre 18mila preferenze. Numeri da capogiro, che gli ex assessori dimissionari in corsa nella stessa tornata riescono a malapena a sfiorare.
A Gramazio figlio, oggi a Rebibbia con l’aggravante dell’associazione a delinquere di stampo mafioso, gli inquirenti contestano di porre al “servizio dell’organizzazione le sue qualità istituzionali, svolge una funzione di collegamento tra l’organizzazione la politica e le istituzioni, elabora, insieme a Testa, Buzzi e Carminati, le strategie di penetrazione della Pubblica Amministrazione, interviene, direttamente e indirettamente nei diversi settori della Pubblica Amministrazione di interesse dell’associazione”.
Gramazio, stando all’ordinanza del Gip Flavia Costantini, avrebbe contribuito, dall’aula Giulio Cesare, allo stanziamento di un milione di euro per le piste ciclabili con un emendamento cofirmato dall’allora capogruppo del Pd; all’approvazione sulla mozione presentata da Daniele Ozzimo (Pd) per la proroga dei lavori sul verde pubblico alle coop sociali; al riconoscimento del debito fuori bilancio per l’accoglienza in emergenza dei minori non accompagnati provenienti dal Nord Africa e sul voto espresso sull’assestamento di bilancio 2012 e sul pluriennale 2012 – 2014. Dalla Pisana, invece, Gramazio avrebbe lavorato per favorire lo stanziamento di risorse regionali verso il comune di Roma, poi indirizzate al municipio di Ostia.
Per fare questo, avrebbe ricevuto “costantemente erogazioni e promesse di utilità a contenuto economico da Buzzi, che agiva di concerto con Carminati e Testa” tra le altre di “98mila euro in contanti in tre tranches (50.000-28.000-20.000); 15mila euro con bonifico per finanziamento al comitato Gramazio; l’assunzione di 10 persone, cui veniva garantito nell’interesse di Gramazio uno stipendio; la promessa di pagamento di un debito per spese di tipografia”.
Secondo le carte, le qualità istituzionali di Gramazio e “l’incessante attività dallo stesso espletata per l’associazione protesa all’inserimento in snodi sensibili della pubblica amministrazione” avrebbe consentito di “orientare risorse pubbliche in settori nei quali è più agevole per il sodalizio, in ragione del capitale istituzionale di cui dispone, l’illecita appropriazione”, come ad esempio nella “turbativa d’asta trasversale agli opposti schieramenti politici – che costituisce uno degli affari criminali più lucrosi per il sodalizio, costituito dall’assegnazione di uno dei lotti del CUP”.
A questo, il suo “essere uomo in diretta collaborazione con Carminati e con le altre figure apicali del sodalizio” e il “diretto interesse personale economico e non nel partecipare attivamente alla consorteria” sono “elementi che, da soli considerati, impongono un giudizio netto e inequivoco sul pericolo di reiterazione” e che “rivelano la straordinaria pericolosità di Gramazio, il quale potrebbe sfruttare la rete ampia dei collegamenti per fornire nuova linfa alle attività delittuose e agli interessi dell’associazione, nonostante lo stato detentivo di numerosi sodali”.
Tra gli arresti dello scorso 4 giugno, spicca anche il nome di Giordano Tredicine. Ai domiciliari da allora, al referente del Pdl in consiglio comunale – nessun refuso, Tredicine ha mantenuto la vecchia bandiera di partito dopo la scissione in FI e Ncd, salvo poi essere vice coordinatore regionale proprio del partito dell’ex Cav – viene contestata dagli inquirenti “nella sua qualità di consigliere dell’Assemblea Capitolina dunque pubblico ufficiale” di porsi al servizio di “soggetti economici riconducibili al gruppo di Buzzi” dal quale riceveva “promesse ed erogazioni continuative di denaro e altre utilità a contenuto patrimoniale. Con l’aggravante, per Buzzi, di aver agito al fine di agevolare l’associazione di tipo mafioso diretta da Carminati”.
Alfiere di una delle famiglie di storici commercianti ambulanti di Roma, Tredicine inizia il suo cursus politico come consigliere nell’allora IX Municipio capitolino. Zona Appio San Giovanni, la stessa dove cresce politicamente Gramazio. Nel 2008, con oltre 5mila preferenze entra in consiglio comunale e, durante il mandato di Alemanno, diventa vicecapogruppo Pdl e presidente della commissione politiche sociali, che per forza di cose aveva a che fare con le cooperative operanti in città e, tra queste, anche la ormai nota 29 giugno. Della parte legata al commercio – la famiglia dei Tredicine ha in mano circa 300 licenze ambulanti in città, i camion bar che ciclicamente si cerca di spostare dai luoghi simbolo della Capitale d’Italia – Giordano, a più riprese, ha detto di non occuparsi. Nel 2010, però, con un blitz d’aula durante una delle maratone notturne per l’approvazione del bilancio, passa un suo emendamento con il quale si abbassano i vincoli dell’occupazione di suolo pubblico per gli esercizi commerciali. L’Aula lo vede come fumo negli occhi, il provvedimento viene cancellato subito dopo con una delibera comunale ad hoc, Tredicine si difese sostenendo il carattere generale della norma e che la sua applicazione non riguardava solo chioschi e camion bar ma tutti gli esercizi.
Uno che “viene dalla strada”, Tredicine, almeno così lo vede Carminati, evidentemente ritenendo questa sua provenienza un punto a favore del politico.
Nell’ordinanza si afferma senza troppi giri di parole che “l’esistenza di un rapporto corruttivo tra Buzzi e Tredicine è affermata dal primo praticamente dagli inizi delle operazioni di ascolto” degli agenti del Ros.
Un rapporto “corruttivo, delineato dalla metafora del tassametro”, perché per Buzzi “devi scende dal taxi perché sennò gira sempre”. Il riferimento appare decisamente chiaro.
I magistrati hanno ritenuto sussistere “gravi indizi di aver commesso il delitto di corruzione per l’esercizio della funzione, concretizzatasi nella ricezione da Buzzi di promesse ed erogazioni continuative di denaro e altre utilità a contenuto patrimoniale.
E Carminati: ‘Ma no, no.. lui ricambia…è serio… poi è uno che è poco chiacchierato, nonostante faccia un milione di impicci.. è uno che è poco chiacchierato e questo è importante… lui chiacchiere poche.. vuol dire che è serio!’.
Tredicine, per Buzzi, rischia di diventare anche primo ministro, sempre che non lo arrestino prima: “glielo dico sempre ‘a Giordà se non te arrestano diventerai primo ministro. Me fa dice: ‘perché me possono arrestà?’… Li mortacci tua … Te possono arrestà (ride). Però come sta sul pezzo a Giordano non c’ho mai visto nessuno ehh.. Credimi, mai nessuno!”.
Intrecci pesanti, un sistema corruttivo fitto, le cui maglie nascono nel passato ma che ha trovato terreno fertile sotto la giunta Alemanno. Un limo tale da portare a ritenere che il massimo dell’infiltrazione del mondo di mezzo sarebbe arrivato proprio durante gli anni del governo di centrodestra.
L’ex sindaco di Roma, il cui nome è spesso citato nelle carte ma che attualmente rimane solamente indagato dalla Procura, ha fatto più volte autocritica sui metodi seguiti per l’individuazione dei dirigenti delle municipalizzate, ma ha sempre dichiarato di non avere idea “neanche lontana” di un rischio di infiltrazione mafiosa in Campidoglio.
Non solo: “Non ho mai conosciuto personalmente Massimo Carminati – ha dichiarato alla commissione presieduta da Rosy Bindi – Il fatto che lo abbia incontrato in carcere a Rebibbia è destituita di ogni fondamento. Pensavo che non avesse più nessun ruolo in città già da molto tempo”.
Di Buzzi invece ha sempre sostenuto il “ruolo importante in Campidoglio” visto che era percepito come “leader della cooperazione sociale, mentre il suo rapporto con Carminati era rimasto sconosciuto, a me come a quasi tutti”.
E se per il tribunale del riesame “Salvatore Buzzi con la giunta Alemanno e con gli amministratori pubblici che ne erano espressione, ha fatto affari d’oro” tanto che “il fatturato delle cooperative è più che raddoppiato in poco più di due anni da 25 milioni a 60 milioni di euro“, Alemanno stesso ha voluto ridimensionare questa ipotesi sostenendo che durante il quinquennio di governo romano sono sopraggiunte emergenze sociali tali da aumentare l’impegno delle coop. “Se non fosse avvenuta la retata del 2 dicembre scorso – ha affermato l’ex sindaco – tutto lascia credere che il percorso di crescita della 29 Giugno sarebbe continuato anche sotto l’amministrazione Marino, come dimostrano gli ottimi rapporti immediatamente instaurati con la nuova Giunta di centrosinistra”.
Che Carminati non conoscesse né Alemanno né Panzironi lo afferma anche lo stesso Buzzi che, in una lettera inviata al Pm sostiene che “l’ipotesi accusatoria che la frequentazione di Carminati ci fosse servita per allacciare stretti rapporti con l’amministrazione Alemanno è priva di fondamento per due semplici motivi: nel 2012 la 29 giugno era già molto grande e i rapporti con Alemanno ottimi. Nella seconda metà del 2012 la consiliatura volgeva al termine e, come facilmente riscontrabile Carminati non conosceva né Alemanno né Panzironi”.
A pesare sulle spalle dell’ex sindaco anche una mail di troppo, con la quale avrebbe chiesto a Buzzi un sostegno per le elezioni europee del 2014. Sostegno che Buzzi avrebbe fornito interessando personaggi che sembrerebbero vicini alla ‘ndrangheta calabrese. Alemanno ha respinto con vigore ogni addebito: “Se Buzzi nel fare questo ha scelto di utilizzare persone colluse con la ‘ndrangheta, non lo potevo sapere e le carte lo dimostrano”, ha affermato.
Secondo le risultanze, gli inquirenti hanno ricostruito questo passaggio della storia in questi termini: “Buzzi era stato interessato da Alemanno affinché si attivasse per sostenere la campagna elettorale di quest’ultimo alle elezioni europee del 25.05.2014 e che Buzzi, nell’informare della circostanza Carminati, gli rappresentava di aver individuato Campennì per veicolare tale richiesta. Buzzi assicurava ad Alemanno il proprio intervento in suo favore, promettendo l’inoltro a un membro del suo staff, Claudio Milardi, di una lista di persone allusivamente chiamate “amici del sud” capaci di esprimere cospicui pacchetti di voti (“che ti possono dare una mano co’ … parecchi voti”).
La scelta di Campennì e di altri “amici del sud” (tra i quali, Rocco Rotolo e Vito Marchetto) rientrava in una precisa valutazione delle potenzialità che a costoro venivano attribuite: la loro appartenenza a una consorteria ‘ndranghetista, capace di condizionare il voto nella terra d’origine (“i mafiosi che quelli controllano i voti”); a causa di un errore compiuto da Guarany, a pochi giorni dalla data delle elezioni, veniva consegnata a Milardi una lista di persone difforme da quanto disposto da Buzzi, che provocava una violenta reazione da parte di quest’ultimo, il quale vedeva evidentemente vanificare quanto programmato (“i nomi degli ‘ndranghetisti erano …inc.. ma come se fà a sbaglià così ..” “erano i nomi delle persone fedeli, ma che cazzo dai i nomi de tutti”). Solo il 23 maggio, a due giorni dalle consultazioni elettorali, Campennì veniva contattato dalla segreteria di Alemanno per ricevere il materiale elettorale”.
Ad Alemanno arrivano poco meno di 45mila preferenze ma non bastano a farlo eleggere.
A finire nel registro degli indagati anche Marco Visconti, ex assessore all’ambiente capitolino fino al 2013.
A Visconti, un passato in An, ex presidente dell’allora XIX Municipio, uno dei nomi presenti nella famosa lista Pdl per le regionali 2010 mai presentata ufficialmente, è contestata la corruzione per un atto d’ufficio, e il concorso di persone nel reato ex articolo 110 codice penale.
A sollevare dubbi sul ruolo dell’ex assessore le dichiarazioni rilasciate da Franco Panzironi, ex presidente di Ama Multiservizi”. Scrivono i magistrati: “Visconti era assessore all’ambiente, assessorato che ha un contratto di servizio con Ama e un forte potere di indirizzo verso la stessa azienda municipalizzata. Nell’assessorato vi era un dirigente preposto ai rapporti con Ama. Nella sua qualità di presidente di Multiservizi si era recato presso l’assessorato dell’Ambiente, per riunioni con Visconti e gli altri operatori, tra i quali, alcune volte, Buzzi. In uno di questi incontri, verso la fine del mese di settembre 2012, il citato assessore lo aveva chiamato e in forma riservata gli aveva detto che Buzzi era interessato a contribuire per le campagne elettorali del sindaco Alemanno e di Visconti medesimo, con una cifra complessiva di 400mila euro da dividersi tra Alemanno e Visconti”.
Preferibilmente in contanti, visto che Visconti – stando a quello che rilevano i Pm – si sentiva già sotto la lente di ingrandimento per vicende legate alla moglie, ancora prima coinvolta nella vicenda Parentopoli. (SEGUE)
R.V.
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