Non è destinata a placarsi facilmente la serie di polemiche innescate dalla seconda tranche dell’inchiesta mondo di mezzo. A poco più di 24 ore dagli arresti che hanno fatto tremare la politica romana, dalla procura escono i nomi degli indagati a piede libero. Fin dalle prime ore del pomeriggio di ieri appariva chiara la presenza, nel registro degli indagati, del nome di Maurizio Venafro, ex capo di gabinetto del presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti.
Tra gli altri nomi figurano quelli del costruttore Antonio Pulcini, padre di Daniele Pulcini, ai domiciliari da ieri; dell’ex assessore all’Ambiente della giunta Alemanno, Marco Visconti; dell’ex capo dipartimento della protezione civile capitolina Patrizia Cologgi; dell’ex capo segreteria Francesco D’Ausilio, già capogruppo in Aula Giulio Cesare del Pd e di Mirella Di Giovine, ex direttore del Dipartimento Patrimonio del Campidoglio.
Avvisi di garanzia anche alla presidente della coop Un Sorriso, Gabriella Errico; al presidente della cooperativa Capodarco Maurizio Marotta, della responsabile parchi di Eur Spa, Clelia Logorelli; a Silvio Praino, imprenditore alberghiero impegnato nelle strutture di accoglienza dei migranti. E ancora, avvisi anche a Fabrizio Amore e Ettore Lara.
Questi nuovi iscritti lasciano pensare a un altro, ulteriore sviluppo dell’inchiesta che già ha dato una dura spallata a una consorteria che agiva nel sistema con una penetrazione capillare. Già oggi gli investigatori hanno proceduto con i primi interrogatori. Il gip Flavia Costantini ha ascoltato Mirko Coratti, il quale ha respinto ogni accusa lui addebitata. “Non ho commesso alcun reato – ha detto ai giudici – e non c’è stato alcun rapporto illecito con Salvatore Buzzi. Lo prova il fatto che non esiste agli atti una conversazione telefonica tra noi”.
Il coinvolgimento di Coratti, secondo il suo legale Filippo Dinacci, è “un equivoco giudiziario che la giustizia chiarirà. Il mio assistito ha respinto le accuse in modo fermo”.
A quanto risulterebbe, Coratti avrebbe affermato di non aver mai beneficiato di somme di denaro di provenienza illecita, né di aver ricevuto promesse di soldi da Buzzi o da qualcuno a lui vicino.
L’ex assessore alle politiche sociali della giunta Marino, Daniele Ozzimo, ha dichiarato di fronte ai Giudici di aver avuto, con Buzzi, solo rapporti di natura politica, in quanto iscritto al suo circolo. A spiegarlo l’avvocato Danilo Leva, difensore dell’esponente Pd insieme con l’avvocato Luca Petrucci. Respinta anche l’accusa di aver preso tangenti, “assolutamente non fondata” secondo quanto riferito dal legale che ha spiegato anche che “Ozzimo ha risposto a tutte le domande, fornito un utile contributo conoscitivo e una corretta ricostruzione della vicenda” in un “interrogatorio di garanzia in cui ha fornito elementi precisi e puntuali con grande serenità, perché non ha nulla da nascondere”.
Si attendono ora le dichiarazioni degli altri arrestati, che nelle prossime ore verranno ascoltati dai Pm mentre il prefetto di Roma, Franco Gabrielli, ha interessato il sindaco Marino circa la sospensione di diritto dei consiglieri capitolini, così come è stata avviata la procedura di sospensione per il consigliere regionale Luca Gramazio che, insieme a Giordano Tredicine, ai domiciliari, è stato formalmente allontanato da Forza Italia. Il coordinatore Regionale del Partito, Claudio Fazzone, ha parlato di decisione “dolorosa ma indispensabile e non prorogabile”.
“Siamo prima di tutto convinti – si legge nella nota del Senatore forzista – che se la politica non interviene prima dei giudici, se non prendiamo posizioni chiare, forti e decisive, su chi oggi e’ coinvolto in queste vicende verremo meno al rispetto nei confronti dei cittadini che in noi hanno sempre creduto”.
Non si placano anche le polemiche contro Ignazio Marino, le cui dimissioni vengono chieste a gran voce trasversalmente dalle opposizioni sia locali che nazionali. La difesa di Matteo Orfini, ieri, del sindaco, intorno al quale oggi si sono stretti anche altri esponenti del partito, ha convinto fino a un certo punto.
“Il Pd sta facendo pulizia – ha spiegato – e nell’amministrazione questo lavoro è iniziato prima dello scoppio di Mafia Capitale. È stato proprio il sindaco Marino a chiedere un intervento della Finanza e a segnalare i casi sospetti” rivendica ricordando anche come nel partito siano stati “recisi i rami secchi, annullato il tesseramento del 2014, ripristinando regole che terranno fuori capibastone e malintenzionati”.
”Non siamo sulla graticola – sostiene Orfini – stiamo governando Roma, ripristinando la trasparenza contabile”. Gli replica lo stesso Beppe Grillo, che definisce il commissario del Pd romano “bravissimo a giocare alla Play Station come un quindicenne mentre la mafia si mangia Roma”. “Mafia capitale non è un videogioco – ha aggiunto Grillo – né una serie tv. Una piccola rassegna per lui, da leggere tra una partita e l’altra: Buzzi in un’intercettazione su Marino: ‘Se Marino resta sindaco altri tre anni e mezzo, ci mangiamo Roma’”.
Sta di fatto che la percezione che i cittadini hanno della politica romana oggi, arriva da un rilevamento condotto da Sky Tg24 – il cui valore statistico ovviamente è puramente indicativo vista la mancanza del campione di riferimento – secondo cui il 67 per cento dei romani si aspetta le dimissioni di Marino.
Sono palesi le ripercussioni dell’inchiesta sulla già precaria credibilità della classe politica, in particolar modo quella che si è presentata agli elettori come forza rinnovatrice e di cambiamento.
I Pm non solo hanno smantellato una rete che evidentemente governava una fetta dell’economia e del potere romano, ma hanno anche ridisegnato la geografia della politica capitolina tracciando i confini della attendibilità, dell’affidabilità e della trasparenza di ogni rappresentante eletto nelle istituzioni. Il baricentro è stato spostato, e nessuno, né il centrodestra né tantomeno il centrosinistra, ne esce incolume.
Mondo di mezzo ha renzianamente rottamato quel poco di credibilità del Pd romano, che in extremis addossa tutto a quelle ‘passate gestioni’ dimenticando però i nomi illustri proprio dello stesso Pd che sono stati parte di quelle amministrazioni. Peggio che negare però gli Odevaine e gli intrallazzi fatti con le coop nel corso di decenni, c’è il rinnegare nomi di una maggioranza senza la quale sarebbe stato impossibile governare o di una giunta composta da “persone competenti, ognuna scelta con molta attenzione” e soprattutto capace di segnare “discontinuità con il passato”.
Ricreare un minimo di attendibilità agli occhi di quelle persone cui, a un certo punto, si chiederà il voto è una partita delicatissima, a questo punto. Da giocare in punta di fioretto. Pensare di essere immuni dal tritacarne solo perché si cerca di spostare l’attenzione altrove è un errore grave. Soprattutto quando poi a smentire il Pd è lo stesso Pd. “Questa storia di Mafia Capitale non è assolutamente addebitabile ai cinque anni di Gianni Alemanno, chi lo fa come anche nel mio partito, fa un gioco propagandistico che non serve a niente, lasciamolo fare ai Salvini e ai grillini”. Così il Senatore Pd Stefano Esposito, Commissario Pd a Ostia, ai microfoni della trasmissione radiofonica “Roma ore 10”. Una secchiata di acqua ghiacciata su un incendio che sta consumando la politica, prima ancora che la città.
R.V.
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