Marcia indietro Usa: trattare con Assad

“Dobbiamo trattare”. L’affermazione del Segretario di Stato USA John Kerry, contenuta in un’intervista pubblicata domenica dalla CBS, rivela il clamoroso dietrofront dell’amministrazione americana nei confronti della guerra civile in Siria.

Finora, infatti, nel conflitto scoppiato durante la Primavera araba, di cui ricorre in questi giorni il quarto anniversario, gli USA avevano sempre preso le parti degli oppositori alla dittatura di Bashar al-Assad, e avevano posto le dimissioni del Presidente come condizione per la pace.

Domenica, invece, Kerry ha espresso la volontà della sua amministrazione di far sedere Assad al tavolo delle trattative per trovare una soluzione politica alle ostilità.

Su Assad, ha detto Kerry, bisognerà “accrescere la pressione” per convincerlo a partecipare ai negoziati.

Sempre secondo quanto affermato da Kerry, gli USA hanno “sempre puntato a una trattativa nel contesto di Ginevra I”. Il riferimento è alla conferenza internazionale del 2012, che aveva suggerito una composizione delle ostilità attraverso la formazione di un governo di unità nazionale dove fossero presenti esponenti del regime e delle opposizioni, ma non il Rais in persona.

In ogni caso, quella di domenica rimane la concessione più grande fatta dall’amministrazione USA al dittatore siriano da quando è scoppiata la guerra: prima di questa circostanza non era passata occasione senza che gli americani chiedessero esplicitamente ad Assad di farsi da parte.

A far cambiare idea a Kerry potrebbe essere stato il cambiamento degli equilibri nel conflitto durante l’ultimo anno.

Tra la primavera e l’estate 2014, infatti, ampie zone della Siria sono cadute in mano dell’ISIS.

L’avvento del cosiddetto Califfato del terrore, nato da una costola di al-Qaeda nel confinante Iraq, è stato accolto con un certo favore soprattutto dalla popolazione di confessione musulmana sunnita, stremata dalla guerra ed esclusa dalla spartizione del potere dalle famiglie legate alla setta alawita, di cui fanno parte gli Assad.

L’apertura di Kerry al Rais potrebbe essere stata dettata proprio dalla necessità di sconfiggere quanto prima il nemico comune. Concedere qualcosa ad Assad avvicinerà le posizioni USA a quelle dell’Iran, alleato di ferro del regime siriano, che già combatte l’ISIS sul fronte orientale a fianco dell’Iraq.

Bisogna però ricordare che l’ISIS non avrebbe mai avuto l’occasione di impadronirsi di un terzo del territorio siriano, e di gran parte delle risorse petrolifere dello Stato mediorientale, senza la crisi politica e umanitaria dovuta al perdurare della guerra civile. Uno stallo militare a sua volta condizionato dall’irregolarità del sostegno degli USA e dei loro alleati agli oppositori al regime siriano.

Intanto la Siria entra nel quinto anno di guerra civile devastata dalle ostilità. Su una popolazione di circa 18 milioni di abitanti, il Paese conta più di 200 mila vittime e 3,8 milioni di rifugiati.

Negli ultimi giorni, il rapporto Failing Syria, pubblicato da un gruppo di ventuno ONG impegnate sul territorio del Paese, ha definito la situazione siriana come “la più grande crisi umanitaria dai tempi della Seconda guerra mondiale”.

Il documento denuncia tra l’altro l’inadeguatezza e il mancato rispetto delle risoluzioni prese dall’ONU per affrontare l’emergenza.

Filippo M. Ragusa

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