Barletta, anni 60. Dopo una breve cornice narrativa, che ci mostra Mennea al culmine della sua carriera di atleta, torniamo indietro nel tempo. Pietro è un ragazzino che ama correre, ma che ha scarse possibilità economiche, suo padre è sarto e sua madre, una splendida Lunetta Savino, lo vorrebbe vedere diplomato e magari anche laureato. L’amore di Pietro per la corsa, però, supera ogni ostacolo. La sua ascesa è veloce all’apparenza, ma scandita da molti sacrifici fisici, psicologici: più va avanti, più è costretto a isolarsi. Il suo allenatore, interpretato da un intenso Luca Barbareschi, glielo dice senza mezzi termini.
La storia poi segue le tappe più che conosciute dal pubblico. Quello che rende particolarmente avvincente questa fiction è la poetica usata. Una buona sceneggiatura, una regia sapiente esprimono con efficacia l’ansia d’infinito, la volontà di trascendere che c’è quasi sempre in un autentico atleta. Il mare, la cittadina, la povertà decorosa del padre e della madre, quella cultura meridionale così umana rendono “visibile” la personalità del ragazzo dalle scarpe rotte destinato ad entrare nel mito.
Pietro cresce, diventa adulto, l’atto terroristico di Monaco lo risveglia dal suo sogno e dalla sua semplicità provinciale rimasti intatti nonostante le medaglie. Disdegna le feste fatue, le ragazze che lo corteggiano per la sua notorietà, si iscrive all’università perché vuole capire il mondo che sta cambiando, perché vuole partecipare alle rivendicazioni dei giovani. Rimane sensibile, attento, non chiuso nel suo narcisistico desiderio di vincere, deve pure reinventarsi come atleta perché la morte del fratello della sua amica ebrea, a Monaco, lo ha scosso in modo inaspettato, si lega a un bambino disabile che lo segue nelle gare. Si innamora di Manuela, ragazza colta e sensibile alla contestazione studentesca. Una storia d’amore, tutt’altro che idilliaca all’inizio, viene raccontata tirando in ballo la personalità profonda di Pietro che vuole amare, ma non ne è capace perché assorbito del tutto dal suo sogno. Anche in questa sfida il nostro campione vince. Manuela e Pietro si sposeranno e resteranno insieme tutta la vita, e questa non è solo fiction.
Mennea è un campione di umanità perché ci ricorda cosa rappresenta veramente lo sport nella nostra migliore tradizione: lealtà, spirito di sacrificio, rispetto per l’avversario. Lo sport assume anche un ruolo di promozione della pace in un mondo dilaniato dalle guerre, dai nazionalismi, dagli interessi economici e di mercato.
Un’ultima riflessione: il valore della forza di volontà. Pietro Mennea ne ha, ma lo sport la potenzia. Una forza di volontà costruttiva, non usata per dominare gli altri. Le sue quattro lauree, il suo impegno come europarlamentare ne sono una controprova.
Non ci sorprende che la fiction abbia riscosso un alto successo di pubblico, l’ultima puntata ha registrato uno share del 25%.
Con Michele Riondino, Luca Barbareschi, Elena Radonicich e Lunetta Savino. Regia di Ricky Tognazzi.
Alessandra Caneva *
* autrice programmi tv, collaboratrice di istantv.it
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