A Mosul, mentre infuria la battaglia tra l’ISIS e l’esercito iracheno, i jihadisti hanno preso in ostaggio numerosi civili per usarli come scudi umani. Lo riferiscono alla stampa gli attivisti anti-ISIS rimasti in città.
I jihadisti “hanno rastrellato numerosi giovani maschi nei quartieri della città e ora sono tenuti in ostaggio nelle moschee del centro”, riferiscono gli attivisti.
L’ISIS perde terreno di ora in ora: da est, sulla riva sinistra del fiume Tigri, le truppe regolari irachene sono già entrate in città e si combatte strada per strada. Ieri gli scontri più cruenti sono avvenuti ad al-Karama, un quartiere a ridosso del centro. “Gli abitanti si sono barricati nelle case”, continuano gli attivisti: “I miliziani dell’ISIS sembrano scomparsi”.
Sempre secondo gli attivisti, i miliziani si sarebbero riattestati nel centro della città. In ogni caso, si stima che a Mosul ne siano rimasti ancora almeno tremila.
I civili sono terrorizzati, aspettano l’arrivo dei liberatori. Ieri molti sono finiti in mezzo al fuoco incrociato. Un’intera famiglia è stata uccisa.
Nel frattempo la Nona brigata dell’esercito di Baghdad avanza da ovest. Dalla sede del Joint Operation Command a Makhmur, a sud della città, il generale di brigata Yahya Rasul annuncia che le sue forze sono ormai “a ridosso della zona occidentale di Mosul”. Il generale ha spiegato di aver lasciato ai nemici un “corridoio della morte”: “Li spazzeremo via con i raid aerei. La zona diventerà il cimitero dei jihadisti”.
Da nord guadagna terreno anche la Sedicesima divisione di fanteria irachena, che ha strappato ai miliziani la zona di Shallalat (“Le cascate”). Intanto i curdi consolidano le loro posizioni a ridosso della città: secondo gli accordi presi all’avvio della campagna, a Mosul dovranno entrare solo le truppe dell’esercito regolare iracheno, a garanzia del rispetto delle numerose minoranze etniche e religiose presenti in città.
Intanto fonti curde, rilanciate da The Independent, riferiscono che l’autoproclamato califfo Abu Bakr al-Baghdadi si troverebbe ancora a Mosul. A dichiararlo è Fuad Hussein, il capo di gabinetto di Massoud Barzani, presidente della regione autonoma del Kurdistan iracheno.
Nei mesi scorsi il “Califfo” si è tenuto a distanza dai riflettori. Nei primi giorni dell’offensiva su Mosul circolavano voci che lo volevano in città, impegnato a sostenere il morale dei suoi uomini. In effetti alcune foto pubblicate sui social media lo mostrerebbero per le strade di Mosul, ma la loro autenticità è tutta da confermare. In mancanza di conferme certe, l’ipotesi più probabile era che fosse fuggito in un luogo più sicuro. Ma è anche vero che nessuno dei suoi sottoposti ancora vivi ha il suo stesso carisma e il suo stesso ascendente sui miliziani.
“Se Baghdadi è lì, e se viene ucciso, questo causerà la caduta dell’ISIS”, dice Hussein. Ma questo potrebbe anche allungare i tempi della conquista della città: la presenza del “Califfo” potrebbe motivare i suoi combattenti a resistere fino alla morte.
Da più parti si levano voci preoccupate per la sorte dei civili rimasti a Mosul, che secondo stime ONU sono ancora un milione e mezzo di cui “circa 600 mila bambini”. Le forze irachene hanno promesso di aprire corridoi umanitari per i civili, mentre gli operatori umanitari invitano a fare presto: “Non possiamo aspettare che quello che succede ad Aleppo avvenga anche a Mosul”, dice Maurizio Crivellaro, direttore per l’Iraq di Save the Children.
Intanto i jihadisti sottopongono i cittadini a sanguinose ritorsioni. Si è già detto degli ostaggi usati come scudi umani, per scongiurare i bombardamenti. Ma Mohammed al-Musali – uno dei comandanti dei cosiddetti Cavalieri di Mosul, gruppi di quartiere armati che combattono contro l’ISIS – ha raccontato un altro episodio avvenuto lo scorso 27 ottobre: usando gli altoparlanti delle moschee, i jihadisti hanno invitato gli abitanti di un quartiere a presentarsi in un collegio per ritirare nuovi documenti d’identità, e una volta arrivati hanno rastrellato e giustiziato tutti quelli che avevano prestato servizio nelle forze di sicurezza, compresi i “pentiti” che avevano riconosciuto l’autorità di Baghdadi.
Ieri il ministero della Difesa turco aveva annunciato di aver dispiegato artiglieria e carri armati nel distretto di Silopi, sul confine con la Siria e l’Iraq, a un centinaio di chilometri da Mosul. Oggi è arrivata la replica del premier iracheno Haider al-Abadi: “Non vogliamo combattere contro i soldati di Ankara, ma se le truppe turche mettono piede in Iraq pagheranno un caro prezzo, subiranno molte perdite”.
F.M.R.
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