Influencer. La parola indica quelle persone che, essendo determinanti nell’influenza dell’opinione pubblica, costituiscono un target importante cui indirizzare messaggi pubblicitari da veicolare, con grande possibilità di successo, verso un pubblico più vasto. Un soggetto influente è in grado di condizionare in modo rilevante convinzioni e atteggiamenti degli altri in ragione della sua reputazione e autorevolezza rispetto a determinate tematiche o aree di interesse.
Ma con l’affermarsi di Internet e, soprattutto, del Web 2.0, il termine influencer ha cominciato a essere usato con una diversa accezione, più marcatamente quantitativa, per indicare colui che, avendo un ampio seguito di pubblico, è in grado di raggiungere con i suoi messaggi un numero potenzialmente alto di individui, creando così i presupposti per una propagazione su larga scala dei messaggi medesimi attraverso il passaparola. Si tratta solitamente di individui che posseggono un grado di conoscenza elevato relativamente ad alcuni prodotti o che comunque li utilizzano abitualmente, tanto che le loro opinioni arrivano a influenzare quelle di altri consumatori orientandone le scelte.
Scendendo nel concreto, Chiara Ferragni, 32 anni, da almeno dieci è sulla cresta dell’onda come imprenditrice, blogger, designer e influencer italiana. E’ stata anche la prima fashion blogger ad apparire su una copertina di Vogue, e nel 2017 viene nominata dalla rivista Forbes «l’influencer di moda più importante al mondo».
Uno studio del 2017 ha descritto il suo modello comunicativo – 17 milioni di follower solo su Instagram e un impero da 30 milioni di euro – come una modalità frequente e naturale di apparire nei social, attenta a valorizzare l’immagine corporea, coerente con la tendenza fashion e con una strategia commerciale di lungo termine che si propone di mantenere alto il livello di interazione degli utenti col suo profilo web e la discussione da esso generata.
Ispirarsi alla Ferragni, per chi abbia spirito imprenditoriale e carisma tale da poter influenzare all’interno dei processi comunicativi il pubblico che lo segue, può essere utile, soprattutto redditizio ed esente da qualsiasi obbligo di diploma di scuola media superiore o laurea. Nè latino né greco quindi, per un mestiere che ha aperto la strada ad altri, da Giulia De Lellis a Mariano Di Vaio: al momento se ne contano una ventina tra i più famosi.
Finito il tempo del lavoro sicuro, del posto fisso meta agognata dal Checco Zalone di ‘Quo vado’, oggi tra le nuove professioni possiamo annoverare proprio quella della Ferragni & Co. senza tema di sbagliare: il mestiere di ‘influenzatore’ dell’opinione pubblica si apprende all’università.
L’università telematica eCampus di Roma da quest’anno arricchisce l’offerta formativa con un corso di laurea triennale per aspiranti influencer alla facoltà di Scienze delle Comunicazioni e in Rete. Uno scherzo? Tutt’altro. Il corso prevede materie come psicologia e sociologia della moda; tecnica storia e linguaggi dei mezzi audiovisivi; linguaggio dei nuovi media fino alla Governance dell’Unione europea e al web content marketing, diventato ormai una parte essenziale di una strategia di digital marketing di successo. Il costo? Tremila e 900 euro l’anno e le iscrizioni, dicono dall’università, sono già numerose.
Sul blog dell’università è specificato che “il nuovo percorso Influencer del corso di laurea in Scienze della Comunicazione fornisce le competenze e gli strumenti necessari per affrontare adeguatamente quello che potremmo definire il nuovo marketing, quello social, “influenzale”, che sta progressivamente scalzando il marketing tradizionale. La figura dell’influencer, pur non risultando una professione attualmente regolamentata, è sempre più richiesta da aziende, marchi commerciali e agenzie pubblicitarie, proprio per la capacità di veicolare messaggi al proprio pubblico che la riconosce come “opinion leader” credibile e affidabile”.
Quale allora il compito di questo nuovo corso di laurea: “Colmare il vuoto formativo attuale con una programmazione trasversale e ben codificata, poiché una delle criticità più evidenti in questo nuovo ambito è proprio la mancanza di basi solide e di preparazione tecnica di chi si avvia alla professione di influencer”.
Intanto in rete circolano già i primi commenti. C’è chi sostiene che il corso per diventare influencer sia «una gran bella trovata di marketing» e chi parla di «un corso che è figlio dei tempi che corrono» perché in fondo ci sono persone che vivono grazie a questo. E che stanno aumentando: uno studio di Brandnamic del 2018 mostra come negli ultimi due anni ci sia stato un incremento del 6,4% nel numero di influencer. E chissà se la statistiche cambieranno in futuro grazie ai nuovi laureati di e-Campus.
A.B.
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