Omeopatia sì, omeopatia no. Osannata o demonizzata, questa controversa pratica della medicina alternativa, che si basa sui principi formulati dal medico tedesco Samuel Hahnemann alla fine del XVIII secolo, è felicemente applicata e riconosciuta a livello istituzionale in diversi Stati, ad esempio India ed Ecuador. In altri, invece, come nei Paesi dell’Est europeo, chi – il medico – suggerisce la cura di una malattia attraverso il “principio di similitudine del farmaco” (similia similibus curantur), ovvero con sostanze che procurino una sofferenza simile a quella patita (la parola omeopatia deriva dal greco ὅμοιος, simile, e πάθος, sofferenza), viene considerato a metà tra il ciarlatano e lo stregone.
Ora però a questa scienza la cui validità non è mai stata dimostrata mediante esperimenti o ricerche, si disconosce qualsiasi beneficio. A nulla serve la testimonianza dei 24 milioni di confezioni di prodotti omeopatici vendute in un anno in Italia, con due milioni e mezzo di utilizzatori abituali (ma sono almeno 10 milioni le persone che ne sono entrate in contatto almeno una volta). Due milioni e mezzo di malati che, secondo una più che considerevole letteratura scientifica, si nutrirebbero solo di “acqua fresca”. Come il titolo del libro curato da Silvio Garattini, medico e direttore dell’Istituto farmacologico Mario Negri di Milano: «Acqua fresca? Tutto quello che bisogna sapere sull’omeopatia». Un libro destinato a far discutere, come sa bene Garattini, già denunciato in passato per le dichiarazioni contro i rimedi alternativi alla Federazione degli ordini dei medici.
Prese di distanza da quelli che si ritengono “rimedi che non contengono principio attivo, o in quantità infinitesimale”, come nota Garattini, per i quali per di più ” la legge richiede una documentazione semplificata per l’approvazione all’immissione in commercio e non c’è l’onere di dimostrare l’efficacia, per gran parte di questi, ma solo l’innocuità”, ce ne sono state un’infinità. Perfino dalla Germania, la patria del fondatore dell’omeopatia Samuel Hahnemann, arrivano i ‘pentimenti’ di chi ha utilizzato proprio il metodo della diluizione per curare: la dottoressa Grams ha curato con i granuli per una decina d’anni. Poi, abbandonando, ha spiegato le sue ragioni in un libro, uscito quest’anno: ” L’omeopatia ripensata e cosa davvero aiuta i pazienti” (disponibile in lingua originale su Amazon e nel suo blog).La sua è una presa di distanza a tutti gli effetti pari a quella di Anthony Campbell, anche lui autore qualche anno fa di un libro critico, Homeopathy in Perspective. Campbell è una voce che conta: è stato consulente medico del Royal London Homeopathic Hospital (dove si cura anche la Regina Elisabetta II) fino al pensionamento nel 1998 e, pur non sconfessando completamente l’omeopatia, ritiene che i suoi benefici possano dipendere non tanto dal rimedio in sé, ma da altri fattori, come l’efficacia di una approfondita visita omeopatica caratterizzata dal paziente ascolto del medico che, secondo Campbell, agirebbe di fatto da psicoterapia. “Una delle ragioni per le quali diversi omeopati si “ravvedono” è la difficoltà di questa terapia di aggiornarsi, crescere e confrontarsi con la medicina moderna: alla fine l’autorità è sempre Hahnemann, la malattia si cura con la medicina che produce sintomi simili, e più si diluisce il rimedio meglio è. Nulla di ciò che abbiamo scoperto dalla fine del ‘700 a oggi viene considerato: la microbiologia, la genetica, l’immunologia”, spiega Andrea Bellelli, Professore di Biochimica alla Sapienza di Roma, autore di La costruzione dell’omeopatia. Teorie ed ipotesi di Samuel Hahnemann, Mondadori Università.
Che l’omeopatia sia in affanno lo testimonia anche l’indagine Istat Tutela della Salute e accesso alle cure, realizzata nel 2014 su un campione di 120mila persone e coordinata dalla Regione Piemonte. Nel rapporto si legge che nel 2000 le terapie non convenzionali venivano scelte dal 15,8% della popolazione, mentre nel 2013 si scende all’8,2%. L’indagine certifica, in particolare, un calo significativo dell’uso dei rimedi omeopatici, passato dal 7% al 4,1%.
Tra medici omeopati che “lasciano” e pazienti che, per varie motivazioni, abbandonano le terapie non convenzionali, s’inserisce la perenne querelle tra scienza ufficiale e medicine non convenzionali, con l’omeopatia (che, va ricordato, è riconosciuta dall’Oms) sempre sul simbolico podio delle più criticate e osteggiate. Tra gli ultimi documenti, il rapporto australiano di marzo di quest’anno, redatto dal National Health and Medical Reseach Council, che a conclusione di una maxi review su 225 pubblicazioni ha bocciato inesorabilmente l’omeopatia, commentando causticamente: “Non esiste malattia per cui vi sia una prova attendibile della sua efficacia”. E ancora: “Non c’è ragione fondata per dire che funzioni meglio di una pillola di zucchero”.
Tutto giusto e inconfutabile, laddove le prove scientifiche sono evidenti. Ci sono però anche esperienze personali a smentire illustri clinici e ricercatori: chi scrive, ad esempio, può testimoniare di avere curato tonsilliti, perforazioni di timpano e broncopolmoniti proprio con questa roba da ciarlatani: i globulini omeopatici oggi all’indice.
A.B.
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