Cristo si è fermato a Scampia e da lì riparte. E’ scritto con un pennarello blu su un foglio bianco appeso al collo di un anziano. Uno tra la moltitudine infinita di persone che sabato 21 marzo, il primo giorno di primavera, attendeva con trepidazione l’arrivo del Pontefice. Uno dei tanti che si dichiarano convinti che con la visita di Papa Francesco qualcosa cambierà. Nella loro vita personale e di conseguenza anche in quella del rione napoletano. E Francesco, puntuale, si è fermato a Scampia in mezzo ad una folla festosa e rumorosa di bambini, mamme, nonni, papà e giovani che felici ed emozionati lo hanno accolto sventolando le bandierine e gridando il suo nome. “Ciao, France'”, è stato il saluto di una donna che al suo nipotino ha spiegato di avvertire il Papa come un componente della sua famiglia.
Scampia non è un buon quartiere di Napoli. Tra i più popolosi, ha una storia molto recente: l’80% degli edifici risale al ventennio 1970-1990. Alcune realizzazioni edilizie, oggi discusse, furono edificate in momenti di piena emergenza post-terremoto: le cosiddette zone 167. Non tutte le persone in stato di emergenza alle quali furono concesse le abitazioni lo erano per le recenti cause sismiche, ma raccoglievano il malcontento causato dall’esplosione di abusivismo edilizio avutosi a Napoli a partire dagli anni ’60. Tali immobili sarebbero poi diventati tristemente famosi col nome di Vele. Scampia ha inoltre qualche migliaio di residenti che vivono in occupazioni abusive non registrate, finanche scantinati e ballatoi. Ma il brutto di Scampia non è tutto qui. Il quartiere detiene un’altra criticità: uno dei tassi di disoccupazione più alti d’Italia, pari al 50%-75% della popolazione attiva (i dati ufficiali sono ancora più negativi: parlano di 61,1 -61,7% come percentuale di disoccupazione).
I volontari di una delle tante associazioni che vivono e animano Scampia, famosa più per i fatti di cronaca nera che per le belle e sane realtà, dopo l’incontro con Papa Francesco, che li ha spronati ad andare avanti con coraggio, dicono di sentire nel cuore serenità e forza. Tra gioia e commozione si dichiarano pronti ad affrontare domani le nuove sfide che il destino porrà sul loro cammino.
La giornata di sabato è stata intensa e ricca di grandi emozioni per tutti coloro che hanno avuto un incontro ravvicinato con Jorge Mario Bergoglio, compresi i detenuti del carcere di Poggioreale, 120 dei quali hanno pranzato insieme a lui.
«Nella vita non bisogna mai spavernarsi delle cadute, l’importante è sapersi sempre rialzare. Dio dimentica e cancella sempre i nostri peccati»: queste le parole del Papa agli occupanti della casa circondariale che per salutarlo hanno intonato cori da stadio. In tema di condizioni dei detenuti, «bisogna lavorare», per «sviluppare le esperienze positive» di inserimento, «che fanno crescere un atteggiamento diverso nella comunità civile e anche nella comunità della Chiesa», ha detto papa Francesco durante la visita al carcere napoletano di Poggioreale, nel discorso consegnato ai detenuti. «Alla base di questo impegno – ha spiegato – c’è la convinzione che l’amore può sempre trasformare la persona umana. E allora un luogo di emarginazione, come può essere il carcere in senso negativo, può diventare un luogo di inclusione e di stimolo per tutta la società, perché sia più giusta, più attenta alle persone».
Alla fine, anche San Gennaro si è piegato alla eccezionalità di Papa Francesco. Il sangue del patrono di Napoli, contenuto in una teca nella cattedrale di Napoli, si è sciolto “a metà”, come ha certificato il cardinale arcivescovo Crescenzio Sepe. Ma si è sciolto, fatto mai accaduto davanti a un Pontefice. I napoletani, grandi maestri di profezie, sapranno forse leggere un significato in questo segno inconsueto.
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