A questo punto della campagna elettorale parlare di lotta al coltello tra centrosinistra e centrodestra non ha più senso. Si dovrebbe parlare di un voto tra chi vuole una legislatura ed un governo a tutti i costi e chi invece punta ad uno scenario più netto, chiaro, che dopo il 4 marzo, in caso di ingovernabilità, rimandi tutti al voto. In caso di impasse infatti, secondo gli ultimi sondaggi dove resta fortissimo il partito degli indecisi e degli astenuti, la maggioranza degli italiani vuole tornare subito ai seggi. E, sempre secondo le stesse indagini demoscopiche, sono un italiano su cinque tifa per le larghe intese.
Ma chi sta nel primo raggruppamento e chi invece vuole la svolta come risposta autentica ai problemi e alla crisi? Tra i paladini della Grosse Koalition all’amatriciana troviamo ovviamente Silvio Berlusconi grande industriale, grande venditore di speranze ed illusioni e grande affabulatore. Una volta al governo, il meglio di se però il Cavaliere è riuscito a darlo solo su questioni di interesse personale e familiare riuscendo, comunque a tenere in piedi, dopo l’uscita da Palazzo Chigi, una legislatura taroccata “prestando” a governi di centrosinistra, senza consenso popolare, un suo fedelissimo, plurindagato e condannato per corruzione e ogni altro tipo di nefandezze che spaziano dai crak delle banche alla compravendita di deputati: l’inquietante Denis Verdini.
E chi è oggi l’interfaccia del grande Cavaliere? Da ieri sera il candidato Princeps degli accordi tranfrontalieri da fare a tutto danno del nuovo che avanza, Cinquestelle, Lega e destra più o meno estrema ma non pronta a compromessi su temi essenziali come l’ordine pubblico, il controllo dell’immigrazione, la tutela degli italiani e la difesa degli interessi nazionali, e del vecchio che arretra , ovvero il centrosinistra, ha un nome e cognome: Marco Minniti, esponente di spicco del Pd e del governo Gentiloni dove ricopre l’incarico di ministro degli Interni.
Ieri sera, nel salotto buono di Bruno Vespa dove si va per fare e dire cose importanti (qualche ora prima lo stesso Berlusconi aveva frmato l’ennesimo patetico “patto” con gli italiani neanche fossero i Patti Lateranensi) Minniti ad una domanda precisa e cioè se vedeva bene la possibilità di un incontro che esorcizzasse il rischio di vittoria dei “populismi” attraverso “un governo di unità nazionale” ha risposto: “Perchè no? E’ una strada praticabile…Basta volerlo”.
Nessun dubbio che la volontà a volte basta per risolvere anche i problemi e le controversie più spinose. Ma Pd e Forza Italia, secondo i sondaggi oggi rappresentano si e no il 35 per cento (se va bene) di un elettorato stanco e sfiduciato che sul fronte dell’astensionismo il 4 marzo darà ancora una volta un segnale molto forte. Come si può pensare di governare con il consenso di un italiano su cinque dopo due legislature e diversi governi che hanno brillato solo per inefficienza, inciuci e fallimenti strategici sul fronte delle regole istituzionali, dell’economia, dei rapporti sociali e dei rapporti internazionali?
La risposta è in un libro di Peter Gomes: “C’è un vecchio che avanza” ed un nuovo che non si vuole accettare magari anche attraverso un matrimonio contro natura, tutt’altro che felice. Forza Italia e Pd, con ogni probabilità stanno facendo i conti senza l’oste, per quanto riguarda gli elettori ed i loro orientamenti. Come non ricordare l’ultima perla di queste manovre tra Berlusconi e Renzi, il Rosatellum. Una legge demenziale prima ancora che antidemocratica che, fatta in funzione anticinquestelle, ha aggravato la soluzione dei problemi sui quali gli italiani il 4 marzo sono chiamati a votare. E a complicare ancora di più le cose, le dichiarazioni di voto sulle quali si infrangono inesorabilmente tutte le strane voglie del partito dell’inciucio: Pd 21,9%, 16,3 Forza Italia, 27,8 Di Maio, 13,2 Salvini e la Lega, 4,8 Fratelli d’Italia 6,8 Liberi e uguali. Numeri che dicono, in maniera inequivocabile, che nessuna maggioranza è possibile e che dobbiamo cominciare a pensare ad un doppio turno elettorale in grado di stoppare una volta per tutte la voglia di chi vuole sempre e soltanto governare a dispetto di tutto. Ovvero gestire potere. Con chiunque. A tutti i costi.
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