Due cose abbondano nel mondo: la povertà e la plastica. Se la prima è difficile da sconfiggere, per la seconda qualcosa si può fare affinché non ne rimaniamo sommersi. A Vancouver una società canadese, The Plastic Bank, sta allestendo centri di raccolta nelle aree povere del mondo, dove c’è abbondanza di rifiuti plastici, per rendere questo materiale una moneta di scambio. Si tratta di responsabilizzare le persone alla raccolta della plastica, propria o abbandonata, in cambio della quale avranno strumenti da lavoro, articoli casalinghi, ma anche corsi di formazione. Lo scambio avverrà direttamente nei centri che avranno a disposizione alcuni oggetti in magazzino, altri su catalogo. In alternativa si potranno realizzare stampe 3D di oggetti che abbiano un effetto sulla comunità, per esempio filtri per l’acqua oppure oggetti da vendere a imprenditori locali. In alcuni casi i centri di raccolta ricicleranno il materiale in loco, in altri invece la plastica verrà spedita altrove.
Il progetto è di David Katz, fondatore e presidente dell’impresa, che ha evidenziato diverse volte come la quantità di plastica sul pianeta «è maggiore di quella che potremmo mai utilizzare». Da qui l’idea di rendere il materiale una valuta (per ora il valore è stato fissato a 25 centesimi di dollari alla libbra, circa 40 centesimi di euro al chilo). Questa iniziativa intende raggiungere due obiettivi: ripulire la Terra dei detriti dispersi nell’ambiente e nelle acque – secondo un rapporto dell’Unep (Programma ambientale delle Nazioni Unite) negli oceani sono dispersi circa 18 mila pezzi di plastica per chilometro quadrato e il numero è destinato a crescere – e creare nuove opportunità per le persone.
Il programma pilota verrà lanciato quest’anno a Lima, in Perù, dove solo il 2% dei rifiuti viene riciclato. Qui Katz e Shaun Frankson, suo socio, hanno trovato un imprenditore locale che ha donato un terreno su cui sorgerà il primo centro di raccolta della banca della plastica.
La plastica è una realtà plurale, per questo motivo è più corretto parlare di “materie plastiche”, ossia di una grande varietà di polimeri, ognuno con proprie caratteristiche, proprietà e campi di applicazione. E’ un materiale considerato recente e moderno, la storia della plastica comincia nel XIX secolo, anche se fin dall’antichità l’uomo ha utilizzato dei veri e propri “polimeri naturali”, come l’ambra, il guscio di tartaruga o il corno.
La prima vera affermazione del nuovo materiale avviene nel 1870, quando i fratelli americani Hyatt brevettano la formula della celluloide, avendo l’obiettivo di sostituire il costoso e raro avorio nella produzione delle palle da biliardo, salvo incontrare un immediato successo presso i dentisti quale materiale da impiegarsi per le impronte dentarie. Dopo successive trasformazioni e impieghi, sono solo gli anni ’60 a stabilire il definitivo affermarsi della plastica come insostituibile strumento della vita quotidiana e come “nuova frontiera” anche nel campo della moda, del design e dell’arte.
I decenni successivi sono quelli della grande crescita tecnologica, della progressiva affermazione per applicazioni sempre più sofisticate ed impensabili, grazie allo sviluppo dei cosiddetti ‘tecnopolimeri’, resistenti dal punto di vista meccanico e termico, con caratteristiche idonee per una serie infinita di applicazioni: dell’industria automobilistica per componenti del motore, per i forni a microonde, per produrre i caschi spaziali degli astronauti, le lenti a contatto, gli scudi antiproiettile.
Il ‘nuovo’ materiale irrompe nel quotidiano e nell’immaginario di milioni di persone, nelle cucine, nei salotti, permettendo a masse sempre più vaste di accedere a consumi prima riservati a pochi privilegiati, semplificando un’infinità di gesti quotidiani, colorando le case, rivoluzionando abitudini consolidate da secoli e contribuendo a creare lo “stile di vita moderno”.
Oggi, con l’allestimento di centri di raccolta in paesi estremamente poveri, alle funzioni della plastica se ne aggiunge una nuova, quella sociale.
Giornalista per caso. Anni di ufficio stampa in pubbliche istituzioni, dove si legge e si scrive solo su precisi argomenti e seguendo ferree indicazioni. Poi, l'opportunità di iniziare veramente a scrivere. Di cosa? di tutto un po', convinta, e sempre di più, che informare correttamente è un servizio utile, in certi casi indispensabile.
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