Bernie Sanders non molla e impedisce a Hillary Clinton di fare en plein nelle primarie democratiche di ieri. Il senatore del Vermont si è aggiudicato la maggioranza dei voti in Oregon (53%-47%), mentre in Kentucky l’ex first lady e segretario di Stato si è imposta solo per un pugno di schede (46,8%-46,3%).
Con il risultato di ieri, beninteso, la Clinton fa un altro passo avanti verso il quorum che le basterebbe per arrivare alla convention di Philadelphia sicura della nomination. Ha già il 95% dei delegati necessari, e quelli che le mancano arriveranno il 7 giugno dalla California, lo Stato più popoloso degli USA, che da sola ne assegna quasi il 12%. Ma il risultato di Sanders scopre le falle nella sua candidatura: forte con le minoranze ispaniche e afroamericane, la Clinton non fa breccia nel cuore dei giovani, dei bianchi e dei meno abbienti.
A questo punto si può pensare che il suo rivale, alla convention, si voglia mettere alla testa della corrente di sinistra all’interno del Partito democratico. Se così sarà, Sanders ha il problema di non spaventare l’establishment dem, incline a diffidare di chi si dichiara socialista e forse anche preoccupato dalle intemperanze dei suoi sostenitori nelle scorse settimane.
Solo in Oregon si sono svolte anche le primarie del Partito Repubblicano, dove ormai Donald Trump non ha più sfidanti. Anche per il miliardario newyorkese la conquista matematica della candidatura è questione di pochi delegati.
Gli assi nella manica che si sta giocando Trump in questi giorni rivelano che si sta già comportando da candidato a tutti gli effetti. Ieri ha seppellito l’ascia di guerra con Megyn Kelly, l’influente giornalista della repubblicanissima Fox News che lo ha accusato più volte di maschilismo, e domani incontrerà l’ex segretario di Stato Henry Kissinger, un guru della politica internazionale che per carisma e competenza può ancora influenzare parecchi leader del Grand Old Party. Per prepararsi il terreno ha concesso un’intervista all’agenzia Reuters in cui ha promesso di rinegoziare l’accordo di Parigi sul clima, abrogare la riforma finanziaria voluta da Barack Obama e parlare con il dittatore nordcoreano Kim Jong-un per trattare il disarmo atomico.
L’ultimo colpo di scena studiato da Trump è stato pubblicare l’entità dei redditi e dei guadagni che ha notificato alla Commissione elettorale federale. Non è ancora la dichiarazione dei redditi completa, ma è un colpo a sorpresa a chi lo accusava di voler nascondere le fonti dei suoi guadagni. Fra l’altro, particolare non irrilevante, ha dichiarato un patrimonio complessivo di oltre 10 miliardi di dollari: più del doppio di quanto stimava Forbes. La mossa ha costretto anche la Clinton a mettere online i suoi guadagni: più di 5 milioni in royalty dai libri che ha scritto, circa un milione e mezzo in compensi per i suoi discorsi. Sul patrimonio della Clinton machine insistono anche i 5 milioni raccolti dal marito, l’ex presidente Bill Clinton, fra banche e aziende.
F.M.R.
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