“Il cyberbullismo è un fenomeno da cui i nostri figli devono guardarsi tutti i giorni. Occorre richiamare l’attenzione di tutti alla conoscenza di diritti e limiti dei comportamenti da tenere on line, perché si possa vivere internet come strumento di arricchimento”. Lo ha detto ieri il ministro dell’Istruzione Carrozza in occasione del primo Safer internet day, la giornata istituita dalla Commissione europea nell’ambito del programma per la promozione di un utilizzo sicuro e responsabile dei nuovi media tra le giovani generazioni.
E proprio ieri, a sottolineare che il grande mezzo di comunicazione è come una medaglia con due facce, si è consumata l’ennesima tragedia dovuta in buona misura anche al cattivo utilizzo del web, in particolare dei social network assunti spesso a sfogatoio degli istinti più biechi e beceri di questa povera gioventù senza principi, senza ideali, senza la guida amorevole di una famiglia.
Una ragazzina depressa soffre delle ansie di adolescente e dal web si aspetta aiuto. Per tutta risposta su ask.fm, il sito dove è registrata che conta 60 milioni di utenti, le arrivano risposte tipo:«Ucciditi», «Non sei normale, curati. Nessuno ti vuole, nessuno». Nessuna compassione da parte di nessuno. Istigazione invece a valutare definitivamente la propria ineludibile miseria e porvi fine. E così avviene.
Amnesia – il nome è stato utilizzato per registrarsi sul sito, ma già da sé basta a dirci qualcosa di questa quattordicenne che purtroppo conosciamo tardi e attraverso la cronaca nera: senza memoria, o meglio priva di ricordi, e forse solo di quelli belli – è afflitta dalle sensazioni che si provano alla sua età quando un ragazzo ti lascia. Ha anche problemi a scuola e la fissazione per libri, film e storie di persone suicide. Non fa che parlare della morte e su internet scrive: “Sto aspettando di morire”. Per tutta risposta qualcuno le dice: «Secondo me tu stai bene da sola… fai schifo come persona». Non solo, c’è anche chi la insulta per le foto postate dove sono evidenti tagli alle braccia che lei giura essersi procurata da sola: «Ti tagli solo per farti vedere», «Spero che uno di questi giorni taglierai la vena importantissima che c’è sul braccio e morirai». Amnesia non segue questo consiglio, nel senso che non si taglia le vene ma sale in cima a un vecchio albergo abbandonato a Cittadella, nella provincia di Padova, e di lì spicca il grande salto verso l’eternità.
Ieri la Procura di Padova ha aperto un’inchiesta (per adesso senza ipotesi di reato precise) per stabilire se, appunto, si può parlare di istigazione al suicidio o di maltrattamenti, i due reati più probabili.
All’indomani da episodi del genere sono decine le domande che affollano la mente di un adulto. I genitori, disperati, si chiedono dove hanno sbagliato e cosa avrebbero potuto fare di diverso. Con quella marea di ‘se’ che affollano la testa quando è successo un qualcosa di definitivo, al qualche ormai non v’è rimedio. Pur nella consapevolezza di aver provato in ogni modo a capire i comportamenti malinconici della loro bambina, la più grande di tre figli. Ogni sera, mentre lei dormiva, il papà controllava i messaggi sul suo cellulare, leggeva il suo diario e ispezionava il suo zainetto. «Lo facevo per proteggerla», dice. E c’è da credergli. Perché se per qualcuno leggere gli sms, un diario o semplicemente aprire una borsa, può essere una violazione della privacy, per un altro, soprattutto un genitore, può significare sperare di trovare qualche indizio che giustifichi almeno in parte i comportamenti strani di un figlio. Forse l’unica possibilità, laddove il dialogo non esista, di raggiungere un risultato prima che sia troppo tardi.
Giornalista per caso. Anni di ufficio stampa in pubbliche istituzioni, dove si legge e si scrive solo su precisi argomenti e seguendo ferree indicazioni. Poi, l'opportunità di iniziare veramente a scrivere. Di cosa? di tutto un po', convinta, e sempre di più, che informare correttamente è un servizio utile, in certi casi indispensabile.
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