In aula aveva detto: “Scusate, ho sbagliato”. Luca Traini, autore del raid a colpi di pistola contro migranti a Macerata il 3 febbraio scorso, condannato a 12 anni di reclusione per le accuse di strage aggravata dall’odio razziale e porto abusivo d’arma (la condanna coincide con la richiesta della Procura), durante il processo con rito abbreviato (a porte chiuse), in Corte d’Assise, aveva anche precisato di non provare “nessun odio razziale”. Motivo per cui quella mattina, a Macerata, l’intenzione del 29enne di Tolentino detenuto nel carcere anconetano di Montacuto era quella di “fare giustizia contro pusher per il bombardamento di notizie sullo spaccio diffuso anche a causa dell’immigrazione”. Sulla decisione di aprire il fuoco su un gruppo di migranti Traini ha confessato in aula che ha pesato il fatto che “anche la tua ex fidanzata assumeva sostanze. In carcere ho maturato una nuova cognizione dei fatti”.
La Corte d’Assise di Macerata ha ritenuto del tutto capace d’intendere e di volere l’imputato che oltre ai 12 anni di carcere dovrà scontare anche tre anni di libertà vigilata. Si tratta della sentenza di primo grado contro la quale la difesa, con ogni probabilità dopo aver letto la motivazione, proporrà ricorso in appello.
Luca Traini “non ha avuto una particolare reazione ed è rimasto tranquillo” alla lettura del verdetto di condanna in quanto “avevamo valutato anche tra le altre cose una sentenza di questo tipo”. Lo ha riferito il suo legale, Giancarlo Giulianelli, dopo la decisione dei giudici che depositeranno la motivazione entro i prossimi 90 giorni. Già da ora la difesa annuncia il ricorso in appello la cui impostazione dipenderà da come l’Assise motiverà la condanna.
“La sentenza – ammette il legale che contesta però la configurazione giuridica di tutti gli addebiti, a patire dall’accusa di strage aggravata dall’odio razziale – ci sta per questo tipo di reati”. “La cosa più importante – ha proseguito – sono le sue dichiarazioni (di Traini, ndr): ha espresso idee con le quali conferma di avere sbagliato. Quello che ha scritto – ha aggiunto Giulianelli sui fogli letti in aula dal suo assistito -, lo ha fatto per se stesso e per i suoi cari”.
L’atto intimidatorio di Traini che il 3 febbraio sparò da un’auto in corsa ferendo 6 immigrati e che si bardò con una bandiera tricolore e fece il saluto romano prima di arrendersi ai carabinieri davanti al Monumento ai Caduti in piazza della Vittoria, seguiva di qualche giorno il ritrovamento del corpo di Pamela Mastropietro, la 18enne romana uccisa, fatta a pezzi e rinchiusa in due valigie, per il massacro della quale è detenuto il pusher nigeriano Innocent Oseghale.
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