Gli italiani voteranno no al referendum costituzionale. Almeno questo è quello che dicono i sondaggi, a due settimane dal voto del 4 dicembre. Le percentuali variano di poco: si va dal 41% per il NO e il 34% per il SI nel prospetto preparato da Demos per Repubblica, all’indagine della Stampa (54% contro il 46%), al grafico Ipsos pubblicato dal Corriere della Sera che dà il No vincente con il 55% delle preferenze.
Certo, la vittoria di Donald Trump alla presidenza Usa, dato perdente in ogni sondaggio precedente il voto, ha fortemente ridimensionato la fiducia del pubblico nei rilievi statistici. D’altra parte, se si vogliono formulare delle previsioni, non si può prescindere dai numeri, e questi di oggi saranno gli ultimi, come previsto dalla legge.
Una delle variabili da tenere in considerazione è l’affluenza alle urne. Nel 2001, quando gli italiani vennero chiamati a votare le modifiche al Titolo V, la partecipazione al voto dei cittadini fu scarsa (la percentuale più alta fu del 53% in provincia di Bologna) e vinsero i sì, sancendo l’autonomia legislativa delle Regioni e degli Enti locali ed ampliandone i campi di competenza.
Al contrario, nel 2006, quando gli italiani vennero di nuovo chiamati ad esprimersi su possibili modifiche alla Costituzione, l’affluenza alle urne fu decisamente più alta (in provincia di Ravenna e di Bologna si superò il 66%, e in generale non si andò sotto il 35%). Ma in quell’occasione, la riforma costituzionale, voluta questa volta dal centrodestra, non passò. Partendo da questi dati, disponibili sul sito del Ministero degli Interni, il Sole 24 Ore sembra intravedere un sottile filo che lega la percentuale di affluenza alle urne con i risultati del referendum, per il quale più italiani vanno a votare, più aumenta la possibilità che vincano i no.
Anche il testo di dieci anni fa prevedeva il superamento del bicameralismo perfetto, la riduzione del numero dei senatori e una maggior considerazione del ruolo del Senato come garante degli interessi delle Regioni. Ovviamente, oggi come allora, più si scende nel dettaglio più la materia si fa complessa. Molti sostenitori del NO si chiedono ad esempio come faranno i nuovi senatori ad adempiere alle loro funzioni di rappresentanti regionali e nello stesso tempo a garantire la presenza ai lavori in Parlamento.
Ecco il testo che gli italiani si troveranno a votare il prossimo 4 dicembre: Approvate il testo della legge costituzionale concernente disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del Titolo V parte II della Costituzione. Approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta ufficiale n.88 del 15 aprile 2016?”.
Il quesito è stato oggetto di numerosi ricorsi, tutti respinti, presentati dalle opposizioni, in particolare dal M5S, e dall’ex presidente della Corte Costituzionale Valerio Onida.
A scapito di tutte le previsioni, vi è però un dato certo: la polemica intorno al referendum e alla legge elettorale (che dovrà chiarire le modalità di elezione dei nuovi senatori) continua a spaccare il Partito democratico, diviso tra una maggioranza favorevole al programma di riforme del segretario e premier Matteo Renzi ed una minoranza con tanti distinguo sull’Italicum (vedi il ripensamento del presidente del partito Cuperlo) ma tutti compatti nel dire politicamente no al governo.
C’è però un’altra incognita ed è legata alla fedeltà dell’elettore. Non sempre infatti la posizione ufficiale espressa dai partiti coincide poi con quella di chi vota all’interno della cabina. Sulla carta, ovvero sulle dichiarazioni di voto, il no è vincente. È tutto da vedere quindi se ad esempio il M5S, Forza Italia e gli altri partiti di destra impegnatissimi fin dall’inizio in una campagna a favore del NO, siano poi in grado di fare quadrato per far votare in maniera compatta i propri sostenitori.
Insomma, a due settimane dal voto, gli italiani hanno sicuramente molti spunti su cui riflettere e molte informazioni da vagliare. Tutto sta nel capirci qualcosa.
Laurea magistrale in Storia contemporanea presso L'Università degli studi Roma tre. Master di primo livello I mestieri dell’Editoria, istituito da “Laboratorio Gutenberg” di Roma con il patrocinio del Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale presso “Università Sapienza di Roma”. Dopo la laurea ho svolto uno stage presso Radio Vaticana, dove ho potuto sperimentare gli infiniti linguaggi della comunicazione.
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