“Potremmo chiudere entro il 15 ottobre…” Il premier Renzi sui tempi delle riforme non sembra avere dubbi. Forse lo dice anche per esorcizzare il pericolo di nuove grane per la riforma costituzionale del Senato dove la minoranza dem tenta ancora una volta, ma fino ad oggi con scarsi risultati, di giocare la carta che potrebbe rilanciare il ruolo delle opposizioni nel Pd come in Parlamento. L’incertezza sui numeri lascia ancora qualche speranza agli emarginati costretti in un angolo politico sempre più angusto, il gran finale però non sembra riservare sorprese.
Ma quale lezione dobbiamo trarre da questa ennesima storia, tutta italiana per le sue soluzioni pasticciate, le sue ambiguità, e soprattutto per quella stucchevole voglia di trattare, mediare, barattare, vendere e comprare, soprattutto voti e favori?
Di sicuro lo scontro interno al Pd, ed in quella parte di Paese radical chic che vede lesi i diritti delle minoranze in materia di legittimità democratica, ha francamente stancato. La sostanza del provvedimento, da subito blindata dal presidente del Consiglio non è in discussione. E, soprattutto, per quanto riguarda l’art. due del provvedimento che in futuro regolamenterà il Senato non elettivo delle autonomie, Renzi ha confermato che non ci saranno ripensamenti, o almeno non ci saranno marce indietro per accontentare le richieste della minoranza che fa capo a Bersani e D’Alema.
Questi riti capziosi e defatiganti che la gente comune stenta a comprendere, sono duri a morire. E la pervicacia di pochi insoddisfatti contenti di tirare a campare su presunte battaglie “non di metodo ma di principio”, rispolverate insieme al Tatarellum da Renzi, quale ultima chance verso le opposizioni, speriamo sia veramente l’ultima sceneggiata di una vicenda politica serissima dall’esito ormai più che scontato.
Renzi, inidpendentemente dal fatto che lo dica o meno, ha capito che il raggiungimento degli obiettivi sulla pelle delle mediazioni e dei compromessi premia. Il premier sa, grazie ai sondaggi che monitorano gli umori degli italiani, che di mediazioni (tranne ovviamente quelle strategicamente risolutive) non se ne sente più il bisogno. Anzi le mediazioni sono inversamente proporzionali al consenso. Più si inciucia e meno si incassa.
Adesioni e consensi salgono quando si punta diritti all’obiettivo. E’ stato cosi con i Jobs act e la riforma del mercato del lavoro. E’ andata anche meglio con l’Italicum e la riforma della “buona scuola” e della pubblica amministrazione. Leggi approvate non senza riserve, dubbi e difficoltà. Sicuramente. Ma il fatto stesso che queste nuove norme cui presto potrebbero aggiungersi anche innesti importanti in materia di fisco e pensioni, siano passate, lasciano ben sperare perchè cambiare e far riemergere il Paese, è una necessità prima ancora che una scelta di sviluppo.
Per dirla con un gergo più liberatorio, la macchina finalmente si muove. L’immobilismo tragico di un paese sazio di compromessi dove nulla viene mai messo in discussione, dalla intangibilità della magistratura (su cui il governo farebbe bene a muoversi quanto prima) al tabù della riduzione delle tasse per finire allo strapotere parassitario delle banche ed alla rete dei privilegi di sindacati, qualcuno prenda atto che in Italia è iniziato un processo di rigetto complessivo di tutto quello che non va, un processo epocale che il nuovo scontro sul Senato non può e non deve ricacciare indietro.
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