Continua lo scontro sulla riforma elettorale: fuori ben 10 rappresentanti del Pd, rei di non aver sostenuto la maggioranza del partito sull’Italicum, dalla Commissione Affari costituzionali, che domani inizierà ad esaminare tutti i 95 emendamenti del disegno legislativo, di cui 11 presentati dallo stesso Partito democratico.
Il voto finale è previsto per il 27 aprile e il governo Renzi non intende arretrare di un passo.
La sostituzione è stata votata all’assemblea dei deputati di mercoledì scorso, sulla base dell’art.19 del regolamento della Camera, relativo alla costituzione delle Commissioni permanenti.
Tra i “dissidenti” sostituiti ci sono l’ex segretario Pd Pierluigi Bersani, il suo ex presidente Rosy Bindi e Gianni Cuperlo, che concorreva contro Renzi alle primarie. Tra gli altri, anche i deputati Enzo Lattuca, Alfredo D’Attorre, Andrea Giorgis, Barbara Pollastrini, Roberta Agostini, Marco Meloni e Marilena Fabbri.
“È arrivato il momento di dire che non si può consentire ai veti e ai controveti di bloccare il Paese”, ha affermato il premier, che già ieri aveva sottolineato che per il governo si tratta di un momento cruciale: “Siamo all’ultimo chilometro, allo sprint finale: lo faremo sui pedali e a testa alta”.
Nei giorni scorsi la tensione tra maggioranza e minoranza interna al Pd aveva continuato a crescere, fino alle dimissioni di Roberto Speranza leader di Area riformista e capogruppo dei deputati dem alla Camera.
Le reazioni alla “sostituzione di massa”, come l’ha definita Rosy Bindi, non hanno tardato ad arrivare: per Stefano Fassina si tratta di una vera e propria “regressione della democrazia”, mentre Movimento 5 stelle, Forza Italia e Sel annunciano la loro intenzione di abbandonare la Commissione. Meno drastica la reazione di Scelta Civica, che decide di restare in Commissione e di esprimersi sui singoli emendamenti.
“Noi al pari di tutte le altre opposizioni non accetteremo questo comportamento antidemocratico del partito di Renzi e lasceremo a lui e a quel che rimane del suo partito tutta la responsabilità di questo strappo“, afferma Renato Brunetta, capogruppo di FI alla Camera.
Da parte sua, Renzi non intende arretrare di un passo e, a salvo timide aperture alla discussione, relative all’elezione indiretta dei senatori nei consigli regionali, l’Italicum andrà avanti fino al voto finale.
Il premier risponde anche alle rimostranze, ventilando, anche se in ultima istanza, l’ipotesi di richiedere la fiducia sulla legge elettorale: ciò significherebbe andare alle urne in estate o in autunno, qualora l’Italicum non passasse. Ipotesi a cui, soprattutto la minoranza del Pd non è assolutamente preparata.
E questo il premier lo sa bene: “Tutti devono sapere che se l’Italicum cade io vado a casa. E loro con me. Quanti si prenderanno questa responsabilità?”
Priscilla Muro
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