“Andate via. Da qui non ce ne andiamo, vogliamo tutti via”. Queste le urla dei partecipanti alla protesta cittadina di ieri nella zona di Torre Maura dove qualche centinaio di abitanti della zona, supportati anche da militanti di Casapound, sono scesi in strada per protestare contro l’arrivo di 70 rom destinati a un centro di accoglienza. Durante la protesta alcuni cassonetti, poi dati alle fiamme, sono stati usati come barricate ed è stata bloccata la consegna dei pasti all’interno della struttura. In tarda serata è stata bruciata anche un’auto in uso alla cooperativa che gestisce il centro d’accoglienza. Insomma, una vera e propria esplosione di violenza selvaggia.
La Procura di Roma ha aperto un fascicolo, i reati ipotizzati sono: danneggiamento e minacce aggravate dall’odio razziale. Mentre i pm attendono una prima informativa delle forze dell’ordine sui fatti, la Digos di Roma, sta analizzando le immagini di alcuni video per individuare i responsabili della rivolta.
Quella di ieri, per chi vive nel quartiere, è stata il culmine dettato dall’esasperazione. I residenti di Torre Maura denunciano da mesi una situazione insostenibile: il 16 gennaio scorso 118 e 112 intervennero al centro di accoglienza tra via Paolo Savi e via dei Codirossoni per una rissa tra extracomunitari.
La domanda doverosa, al di là delle possibili strumentalizzazioni dei protagonisti della protesta, è se i cittadini di Torre Maura non vogliono vicino alle loro case i rom, oppure non vogliono i campi rom? E cos’è il centro di via Codirossoni dove i rom sarebbero dovuti essere accolti?
Occorre fare un passo indietro quando, nel maggio 2017, la sindaca Virginia Raggi presentò il Piano rom della Capitale e, in quell’occasione, annunciò la chiusura dei campi rom della Capitale attraverso il solo utilizzo dei fondi europei. In quell’occasione tenne a sottolineare che ci sarebbe stata così la “fine della mangiatoia”.
Dopo il fallimento della chiusura del Camping River, con il successivo esodo di 250 persone sparpagliate sul territorio cittadino, il Comune di Roma ha invertito la rotta aprendo nuovi campi senza chiudere quelli già esistenti. Il 29 maggio scorso ha presentato una gara per “per il reperimento e gestione di una struttura di accoglienza in favore di persone rom”, per un impegno di spesa superiore a 1,2 milioni di euro di fondi comunali. La struttura è riservata esclusivamente a “gruppi di origine rom in particolare a coloro che provengono da sgomberi di insediamenti spontanei”.
Nel dicembre scorso, sempre in Campidoglio, viene nominata la Commissione per valutare l’unica offerta pervenuta, quella della Cooperativa Tre Fontane, e ieri la struttura di via dei Codirossoni viene aperta. In resto è sulla cronaca di tutti i giornali e tg.
Dopo ore di guerriglia urbana nel pomeriggio e serata del 2 aprile, il Campidoglio, messo con le spalle al muro, fa dietrofront ed assicura agli abitanti di una delle tante periferie disagiate della Capitale che le famiglie verranno smistate in altri centri del territorio comunale.
AGMC
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