Secondo un sondaggio dell’istituto demoscopico indipendente Levada, due terzi dei russi (il 66%) si rammaricano del crollo dell’Unione Sovietica.
A ventisette anni dal crollo (il 26 dicembre del 1991 alle 19,35 la bandiera rossa con la falce e il martello gialli fu definitivamente rimossa dalle aste fuori dal Cremlino) del regime autoritario comunista che per 70 anni aveva ridotto la libertà di espressione, di pensiero, di circolazione di milioni di persone e l’inizio di un’epoca democratica, è cresciuto del 12% dal novembre 2017 il numero dei russi nostalgici.
‘Solo’ un quarto dei russi non mostra nostalgia per l’Unione Sovietica. Tuttavia il loro numero è in calo, dal 37% nel 2015, al 28% nel 2016 e al 26% nel novembre 2017. Il 52% degli intervistati che si rammarica per il crollo dell’Urss adduce come motivazione “l’interruzione del sistema economico integrato” mentre per il 36% la ragione principale è la nostalgia di “appartenere a una grande nazione”. Il 60% degli intervistati ha dichiarato a Levada che il crollo dell’Unione Sovietica avrebbe potuto essere evitato. L’8% in più in un anno. Secondo il parere del 27% degli intervistati, invece, l’Unione Sovietica era destinata a crollare. Il loro numero è in calo dal 39% di novembre 2015, al 33% nel 2016 e al 29% nel 2017. Levada ha intervistato 1.600 persone di età superiore ai 18 anni in 136 località popolate in 52 territori russi.
La dissoluzione dell’Unione Sovietica fu il processo di disgregazione che coinvolse il sistema politico, economico e la struttura sociale sovietica, compreso tra il 19 gennaio 1990 e il 26 dicembre 1991, portando alla scomparsa di quella Unione formata da 15 repubbliche, sei delle quali dopo le prime elezioni libere del 1990 si staccarono dal PCUS (Partito Comunista dell’Unione Sovietica), che nel 1985 aveva visto l’inizio di una nuova fase storica con l’avvento del segretario generale Michail Gorbačëv. Gorbačëv infatti fu sostenitore di una innovativa politica per l’Unione Sovietica fondata sui concetti chiave di perestrojka (ristrutturazione del sistema economico nazionale) e glasnost’ (trasparenza) volta al superamento dei problemi socio-economici della superpotenza sovietica. Questa politica di riforme, se da un lato portò alla fine della Guerra fredda (la contrapposizione tra le due potenze principali vincitrici dalla seconda guerra mondiale: gli Stati Uniti d’America e l’Unione Sovietica) e alla fine dell’isolamento internazionale dell’U.R.S.S., dall’altro lato portò all’emersione dei problemi economici dello Stato che fino ad allora erano stati caparbiamente nascosti.
Ed è proprio la “fine del sistema economico condiviso del sindacato” la ragione principale di questa nostalgia per il passato che spinge il 66% degli intervistati a definire come fortemente negativo il passaggio a un’economia di mercato che, negli anni, ha provocato solo “cambiamenti negativi nelle condizioni di vita dei russi”.
A.B.
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