Tasse, tasse, tasse e ancora tasse. I numeri del testo della legge di bilancio 2020, al vaglio del Senato, rischiano di far etichettare il provvedimento come la «manovra delle tasse». Sono previste nuovi balzelli su fumo, su bibite zuccherate e i imballaggi di plastica. Ora il governo sta pensando di ridimensionarle ma il fatto resta.
Per farcele meglio digerire le chiamano ‘etiche’. Come la tassa ambientale scelta che deve dimostrare che siamo pronti a fare qualcosa contro un’ipotetica catastrofe epocale. Sembrano ‘pensate per il nostro bene’. Se davvero fungessero da deterrente nei confronti dei consumatori. Per i 12 milioni di tabagisti, pari al 22% della popolazione italiana, sarebbe veramente una svolta. Al tempo stesso queste penalizzazioni sarebbero un toccasana anche per le persone abituate al consumo di cibi poco sani, quelli, per intenderci, che fanno ingrassare e aumentano glicemia, colesterolo e trigliceridi. Con le conseguenze del caso a carico del SSN e quindi della collettività.
Ma i nuovi tributi che vorrebbero poggiare sulle spalle ormai curve dei lavoratori e dei consumatori, nella cruda realtà serviranno solo a camuffare tasse troppo alte per non ritoccare le quali stanno studiando il modo di rifilarcene di nuove senza che i cittadini se ne accorgano.
La galassia di tasse, balzelli, accise, bolli e più ne ha più ne metta, è variegata complessa imprevedibile. In una parola, immensa. I nostri avi erano molto più bravi degli amministratori di oggi. Ma la realtà di oggi supera la fantasia del passato. I romani imponevano tributi anche sulla raccolta delle urine a sul celibato degli uomini. Oggi si risponde con la ‘tassa sull’ombra’, ovvero sull’occupazione di suolo pubblico, che ogni comune modula a seconda delle necessità delle proprie casse. Ma non manca la ‘pornotax’ che The Economist bollò come “inutile e moralista”, e che ebbe l’ ‘onore’ nel 2005 di una battaglia personale dell’onorevole Daniela Santanché, che voleva introdurla in un maxiemendamento alla finanziaria.
Ma non è ancora tutto. Perché l’Italia repubblicana ha mantenuto la tradizione iniziata nella Roma imperiale, imponendo tasse che, per la loro natura singolare, hanno suscitato controversie, stupore e, in certi casi, ironia. Come quella sul tricolore.
Si, avete capito proprio bene. In Italia si paga per esporre il vessillo con il quale a Villa Medici del Vascello gli uomini di Garibaldi coprirono il cadavere del giovane Goffredo Mameli, autore del nostro inno nazionale “Fratelli d’Italia”. E mentre in tutti i Paesi la bandiera nazionale è considerata sacra e inviolabile, tenuta nella massima considerazione e possibilmente esposta in tutte le occasioni più o meno importanti, nel nostro Paese ci si regola in maniera decisamente diversa.
˝Farla sventolare costa: chi espone la bandiera deve pagare una tassa sulla pubblicità, come previsto dal Decreto Legislativo 507 del 1998 ( Art. 12 comma 1 ). Discorso diverso per gli stendardi regionali, europee e comunitarie, per le quali non è prevista alcuna imposta. Si vuole forse scoraggiare in questo modo manifestazioni di patriottismo? L’Italia, si sa, è anche il Paese delle numerose stranezze, una delle tante è proprio questa. Da non sottovalutare, comunque, perché l’esposizione della bandiera nazionale, la cui importanza ed il cui valore sono chiaramente espressi dalla Costituzione Italiana, costa € 140 annuali. Qualche anno fece molto rumore il caso dell’albergatore di Desio che fu costretto, incredulo, a versare la somma di € 280 per l’esposizione di due bandiere presso la sua struttura ricettiva. Sono in pochi a sapere che i cittadini italiani, a loro insaputa, versano un contributo per poter garantire l’esposizione del tricolore, simbolo della Repubblica Italiana, presso gli edifici rappresentativi degli organi amministrativi e dei luoghi simbolo delle nostre città.
D.B.
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