Giovanni Scattone non insegnerà psicologia all’Istituto professionale Einaudi di Roma. L’uomo, che ha scontato una condanna per l’omicidio colposo di Marta Russo, aveva ottenuto l’incarico per aver vinto il concorso a cattedra nel 2012.
La notizia della sua nomina aveva suscitato roventi polemiche, che alla fine lo hanno convinto a desistere: “Se la coscienza mi dice di poter insegnare, la mancanza di serenità mi induce a rinunciare all’incarico”, ha dichiarato alle agenzie di stampa.
“Il dolore e l’amarezza risiedono nel constatare che, di fatto, mi si vuole impedire di avere una vita da cittadino ‘normale’”, continua Scattone. “Ho rispettato, pur non condividendola, la sentenza di condanna. Quella stessa sentenza mi consentiva, tuttavia, di insegnare. Ed allora sarebbe stato da Paese civile rispettare la sentenza nella sua interezza”.
La vicenda per cui Scattone è stato condannato risale al maggio 1997: Marta Russo, una studentessa dell’università La Sapienza di 22 anni, fu colpita alla testa da un proiettile sparato da una finestra dell’istituto di Filosofia del Diritto, all’interno della città universitaria. Dietro quella finestra, secondo gli inquirenti, si trovavano Scattone e Salvatore Ferraro, due assistenti di Filosofia del diritto.
L’iter giudiziario durò più di sei anni, con due sentenze d’Appello annullate in Cassazione, e si concluse il 15 dicembre 2003: Scattone fu condannato a cinque anni e quattro mesi, Ferraro a quattro anni e due mesi, entrambi per omicidio colposo, mentre l’usciere Francesco Liparota, accusato di favoreggiamento, fu assolto.
Scattone scontò in carcere un totale di due anni e mezzo: passò il resto della sentenza agli arresti domiciliari e poi in affidamento ai servizi sociali. Ferraro invece non tornò in prigione: quando la sentenza passò in giudicato gli rimaneva da scontare meno del limite legale di tre anni.
La Corte di Cassazione decise di annullare nei loro confronti le pene accessorie, delle quali faceva parte l’interdizione dall’insegnamento: l’ordinamento infatti le prevede solo nel caso in cui il delitto commesso è doloso, e non in caso di colpa, a prescindere dalla gravità dell’atto in sé. Così, a Scattone fu concesso di assumere l’incarico di supplente nel 2011 – che per ironia della sorte lo portò a lavorare nell’istituto Cavour, la stessa scuola dove aveva studiato Marta Russo – e poi di partecipare al concorso da docente di ruolo.
Entrambi i condannati si sono sempre proclamati innocenti e hanno continuato a invocare la revisione del processo.
La madre di Marta Russo, Aureliana, si è dichiarata “soddisfatta, soprattutto per i ragazzi: è stata fatta giustizia”.
“Sono contenta per gli studenti – continua la donna – che non avranno come insegnante una persona così inadatta ad essere educatore”.
F.M.R.
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