Ora che il ‘Conte 2’ ha incassato la fiducia anche dal Senato con 169 sì, 2 in meno dei 171 per il primo Conte ma 8 in più della soglia minima (161), ci si può augurare con le parole del premier “un nuovo inizio per l’Italia”. Conte ha sottolineato che ora si aprirà “una stagione riformatrice di rilancio e speranza”, assicurando che la “costituzione e il rispetto delle istituzioni” saranno “la nostra bussola” e “gli interessi degli italiani il nostro obiettivo”.
Ma il cambiamento di indirizzo politico è radicale: si passa da un esecutivo sovranista, formato da M5S e Lega, ad un esecutivo europeista con Pd e ancora M5S. Con una maggioranza però, Salvini ieri nell’aula di Palazzo Madama lo ha rimarcato ancora una volta, che è solo in Parlamento e non nelle piazze. La partecipazione di qualche decina di migliaia di cittadini alla manifestazione di lunedì scorso davanti Montecitorio, mentre all’interno la Camera votava la fiducia a Conte, ha fatto ben capire quello che anche i sondaggi confermano. Il sostegno al premier è in picchiata: nel giugno 2018, al momento del suo insediamento con Lega e M5s, l’avvocato del popolo godeva del 58% dei favori, sceso al 45% a luglio 2019, nel pieno della crisi di governo. Il 2 settembre, nel mezzo delle trattative tra Pd e 5 Stelle, il suo ruolo-chiave lo ha spinto nuovamente al 51%, ma una settimana dopo si è già scesi nuovamente al 47 per cento.
Anche l’alleanza giallo rossa, stando al sondaggio Swg per La7 di Mentana, parte male: se nel giugno 2018, Lega-M5s govedano del 53% di gradimento, colato a picco al 33% lo scorso luglio quando ormai tutti avevano capito che si era giunti al capolinea, la nuova liaison comincia con un preoccupante 39%: di fatto, 6 italiani su 10 sono già contro sul nascere a questo “esperimento”, e sarà dura convincerne anche solo uno a cambiare idea, considerato quanto le opposizioni sono agguerrite.
Un’annotazione la giornata italiana di ieri la merita per quel che riguarda una ‘coincidenza‘. Strana? Forse. Certo è che questa coincidenza racconta molto della storia che avrà davanti questo secondo Governo Conte: proprio nel giorno dell’ultimo passaggio, che dà piena legittimità al nuovo Esecutivo, arriva la conferma di Paolo Gentiloni a Commissario Ue per gli Affari economici. Fino a quando c’era l’alleanza giallo-verde non era mai stata ipotizzata quella posizione ma a luglio si ipotizzava per Giancarlo Giorgetti (Lega) un incarico europeo. Dunque, ruolo di rilievo ma non di primo piano quanto quello che va a ricoprire ora l’ex premier del Pd. Nell’epilogo di questa crisi c’è stato un allineamento di ‘pianeti’: a Roma nasce il Conte bis, a Bruxelles l’Italia conquista un posto nel tavolo che conta – dove prima sedeva Moscovici – sia pure sotto la severa vigilanza del vicepresidente Dombrovskis.
Esemplare l’articolo del direttore de La Stampa sulla coincidenza di tempi fra la nascita della nuova Commissione europea e del governo Conte bis perché “offre l’occasione di rispondere su più fronti alla sfida del populismo che tiene banco sul Vecchio Continente dal referendum sulla Brexit nel 2016”. “L’occasione – scrive Molinari – nasce dal fatto che la Commissione Ue guidata da Ursula von der Leyen e il nuovo esecutivo presieduto da Giuseppe Conte hanno tre elementi in comune. Il primo è la genesi politica perché la Commissione è l’espressione del voto alle elezioni europee nel quale i partiti tradizionali hanno respinto l’assalto delle forze populiste mentre il Conte bis è frutto di un accordo politico-parlamentare contro la Lega di Salvini che aveva partecipato da protagonista proprio a quell’assalto. Il secondo è nei contenuti del programma perché Von der Leyen ha messo in cima all’agenda clima, difesa, democrazia, crescita e “modo di vita europeo” disegnando una cornice che include il “New Green Deal” e la lotta alle diseguaglianze di cui ha parlato Conte alla Camera illustrando i propri obiettivi. Infine il terzo, e cruciale, fattore di convergenza: tanto Von der Leyen che Conte sono consapevoli che l’onda della protesta del ceto medio è molto alta, il rischio di fallire è reale e se ció avvenisse populisti e sovranisti avrebbero gioco facile a imporsi come una valanga a Bruxelles come a Roma”. “A tali e tante coincidenze – osserva infine il direttore de La Stampa – bisogna aggiungere che íl percorso del Movimento Cinquestelle, il più grande partito populista dell’Europa Occidentale, verso il centro è iniziato con il voto a favore di Ursula von der Leyen all’Assemblea di Strasburgo e la conseguente svolta pro-Ue che ha reso possibile il patto di governo con il Pd e l’invio a Bruxelles dell’ex premier Paolo Gentiloni.
Esaurito temporaneamente il discorso sulla politica europea, che vuole questa mattina a Bruxelles l’incontro tra il presidente del Consiglio Conte e la neo presidente della Commissione Ue Ursula Van der Leyen, oggi a Roma nei Palazzi delle decisioni si apre un capitolo che farà registrare i primi screzi fra i due alleati: la distribuzione degli incarichi di viceministro e sottosegretario. Ci sono infatti ex ministri M5S del governo gialloverde a caccia di un ricollocamento come sottosegretario o viceministro, ed ex sottosegretari che aspirano alla promozione a viceministri. Il tempo stringe: ” Dobbiamo fare il prima possibile”. Giuseppe Conte dixit. Le trattative tra Dem e pentastellati sono già partite. Sui primi incombe anche il peso delle correnti interne, i secondi sono nel caos totale ma si aspettano l’assegnazione di una ventina di incarichi.
Tranquilli, Di Maio ha assicurato che l’ultima parola spetta a lui: “Sceglierò in base alle competenze – è stato il messaggio ai presidenti delle 28 commissioni di Camera e Senato – ma voi dovete propormi i candidati”. Attendiamo fiduciosi.
A.B.
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