Johan Cruijff non c’è più. Il “Profeta del gol” è morto stamattina a Barcellona, a 68 anni, per un tumore ai polmoni. L’annuncio compare sul suo sito ufficiale.
Il giorno 24 marzo Johan Cruijff è morto a Barcellona circondato dall’affetto dei suoi familiari, dopo una dura battaglia contro il cancro. È con grande tristezza che chiediamo di rispettare la privacy della famiglia durante il periodo di lutto.
Capitano della nazionale olandese che stupì il mondo ai mondiali tedeschi del 1974, persi solo in finale contro i padroni di casa, Cruijff è considerato uno dei più grandi campioni nella storia del calcio: il “Profeta” è secondo solo a Pelé – e precede Maradona – nella classifica IFFHS dei migliori calciatori del XX secolo.
Ha giocato nell’Ajax, la squadra dov’è cresciuto, e nel Barcellona, che lo ha praticamente adottato, tanto da chiamare un figlio Jordi. Con gli scarpini ai piedi – quegli stessi piedi piatti, dice la leggenda, che avevano convinto un medico militare a riformarlo alla visita di leva – ha vinto tre Palloni d’oro, tre Coppe dei Campioni, un’Intercontinentale, dieci campionati fra Olanda e Spagna. Non ha vinto i mondiali del 1974, ma la sua irruzione sul palcoscenico del calcio ha avuto un effetto incalcolabile sullo sport, debordando nel costume e nella cultura popolare. Si è ritirato presto dalla nazionale, prima dei mondiali argentini del 1978 (Oranje di nuovo secondi), per motivazioni – a dispetto dell’attenzione ossessiva della stampa sportiva – mai del tutto chiarite: si era parlato di calo di motivazione, di opposizione politica alla giunta argentina, di intimidazioni o minacce dopo un sequestro-lampo subìto a Barcellona. Si è ritirato dal calcio giocato a trentun anni, poi lo hanno convinto a tornare in campo, prima negli USA, poi di nuovo in Europa, da vecchia gloria conclamata.
Negli anni ‘80 si è accomodato in panchina e ha messo a frutto la sua sovrumana intelligenza tattica come allenatore, guidando il Barcellona a vincere un’altra Coppa dei Campioni, l’ultima prima del cambio di denominazione, nel 1992.
Aveva smesso di allenare perché il suo cuore debilitato non gli permetteva più di reggere lo stress della panchina: era stato operato per la prima volta nel 1991, quando gli avevano impiantato due bypass coronarici. Un infarto gli aveva portato via il padre quando aveva solo dodici anni. Prima del 1991 era stato un accanito fumatore, dettaglio che quadrava a perfezione nell’iconografia rivoluzionaria sua, delle sue squadre e più in generale della sua epoca. Dopo l’intervento aveva smesso di fumare ed era diventato testimonial di una celebre campagna contro il tabacco, con uno slogan che ora sa di scherzo del destino.
Nella mia vita ho avuto solo due vizi: uno, il calcio, mi ha dato tutto, l’altro, il fumo, stava per togliermelo.
F.M.R.
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