Siria: ISIS alle porte di Aleppo. Ucciso generale iraniano

L’ISIS avanza verso Aleppo, in Siria. A dispetto dei bombardamenti russi e della controffensiva annunciata dal presidente Bashar al-Assad, i miliziani dell’autoproclamato Califfato si sono impossessati di posizioni tenute dai ribelli nella periferia nord della città. Tra le vittime degli scontri ci sarebbe anche un generale iraniano.

Lo ha riferito stamattina la tv locale Halab Today. Conferma Rami Abdulrahman, che da Londra dirige la ONG ONDUS (“Osservatorio nazionale per i diritti dell’uomo in Siria”): “L’ISIS non è mai stato tanto vicino a questa città”.

Prima dello scoppio della guerra civile, Aleppo, quasi due milioni di abitanti, era la città più ricca e popolosa della Siria: all’ultimo censimento superava la capitale Damasco per duecentomila abitanti. È una delle città più antiche del mondo, ma la guerra civile ha costretto gran parte dei suoi abitanti a rifugiarsi da qualche altra parte, in molti casi all’estero.

Nei sobborghi a nord si è combattuto per tutta la notte e “decine di combattenti di entrambi i fronti sono rimasti uccisi”, continua Abdulrahman. I jihadisti hanno preso possesso di Tall Qarah, Tall Susayn, Kafar Qares e di Madrasat al-Mushat, una scuola trasformata in base militare dai ribelli, nella località di Fafayn.

Ieri Saleh Mahmud Layla, un fotogiornalista siriano che lavorava per l’agenzia turca Anadolu, è rimasto ucciso con altre venti persone quando un attentatore suicida dell’ISIS si è fatto esplodere in un mercato a Hraytan, a nordovest della città, con l’auto carica di esplosivo che guidava.

È di oggi invece la notizia della morte di Hossein Hamedani, un generale iraniano della brigata al-Qods, la sezione dei pasdaran attiva fuori dai confini nazionali. Secondo quanto riferisce l’emittente panaraba filo-iraniana al-Mayadeen, Hamedani lavorava come “consigliere militare” dell’esercito regolare siriano ed è stato ucciso dai jihadisti durante una “missione di consulenza” sul campo.

Alla periferia della città si combatte ancora: le truppe fedeli ad Abu Bakr al-Baghdadi sarebbero venute a contatto con le forze fedeli a Damasco nel quartiere industriale di Shaykh Najjar.

Sembra dunque che l’intervento dell’aviazione russa nel nord della Siria non abbia ancora inferto il colpo di grazia all’ISIS. Anzi, serpeggia il sospetto che i raid russi abbiano indebolito più gli altri ribelli, che finora avevano in qualche modo arginato i jihadisti.

Secondo la denuncia del ministro della Difesa francese Jean-Yves Le Drian, i bombardamenti russi non puntano a indebolire il Califfato, ma a proteggere Assad: l’80-90% degli attacchi sarebbe stato portato contro obiettivi diversi dall’ISIS.

L’aviazione francese, invece, avrebbe distrutto un campo d’addestramento nei pressi di Raqqa. È il secondo attacco francese contro la città siriana che fa da “capitale” all’autoproclamato stato islamico, dopo quello del 27 settembre.

“Non è la prima volta, non sarà l’ultima” dice Le Drian, che poi spiega: “Abbiamo colpito perché sappiamo che in Siria, specie attorno a Raqqa, vi sono dei centri di combattenti stranieri la cui missione non è di combattere per il Daesh nel Levante, ma di venire in Francia, in Europa, per commettere degli attentati”.

Proseguono intanto i contatti fra lo Stato maggiore russo e il suo corrispettivo israeliano per coordinare le rispettive strategie sulla Siria. Le trattative a porte chiuse, inaugurate nei giorni scorsi con la visita del generale Nikolaj Bogdanov a Tel Aviv, continueranno “nelle prossime settimane”, fa sapere Mosca. Nel frattempo il Segretario di Stato USA John Kerry ha telefonato al ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov per approfondire i temi toccati nelle scorse settimane, quando i due statisti si erano incontrati in occasione della sessione plenaria dell’Assemblea generale ONU.

Filippo M. Ragusa

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