Grazie a 18 arresti effettuati in sette province, il Servizio centrale antiterrorismo italiano ha smantellato una rete di al-Qaeda nel nostro Paese che aveva la sua base operativa principale in Sardegna.
Sulla base di conversazioni intercettate, gli inquirenti hanno ipotizzato che gli aspiranti terroristi avessero progettato, nel marzo 2010, un attentato in Vaticano. Uno dei componenti della cellula sarebbe stato pronto a compiere un attacco suicida. Il piano fu comunque abbandonato, il che ha permesso a padre Federico Lombardi, portavoce della Santa Sede, di dichiarare che “la cosa non è oggi rilevante e non è motivo di particolari preoccupazioni”.
Tra le 18 ordinanze di custodia cautelare ci sono due membri della rete di fiancheggiatori che proteggeva lo “sceicco del terrore” Osama Bin Laden quando si nascondeva in Pakistan.
Altri individui arrestati dalle forze dell’ordine risultano coinvolti nell’attentato al mercato di Meena Bazar, a Peshawar, attentato in cui, il 28 ottobre 2009, morirono più di cento persone.
L’organizzazione colpita era dedita ad “attività criminali transnazionali”. Secondo la Procura distrettuale di Cagliari, i suoi campi d’azione erano “la lotta armata contro l’Occidente e il progetto di insurrezione contro l’attuale governo in Pakistan”.
I suoi affiliati, che disponevano sempre secondo gli inquirenti di “armi in abbondanza”, operavano lungo il confine tra Pakistan e Afghanistan, secondo una ben precisa strategia del terrore mirata a costringere il governo di Islamabad a desistere dal suo impegno a fianco degli USA e contro le milizie talebane nelle province di confine.
I metodi con cui i membri dell’organizzazione di nazionalità pakistana e afghana entravano e uscivano dal territorio italiano erano semplici e collaudati. In alcuni casi si ricorreva a contratti di lavoro presso aziende di imprenditori compiacenti. Altrimenti, gli aspiranti terroristi ricevevano documenti falsi per potersi dichiarare vittime di persecuzioni etniche o religiose, e quindi ottenere asilo politico.
In ogni caso, il sostegno logistico era curato dalla cellula sarda, che forniva loro assistenza, documenti, istruzioni su come comportarsi con le forze dell’ordine, telefoni, schede e contatti personali.
Secondo la Polizia, al vertice dell’organizzazione c’era un imam e dirigente di Tabligh Eddawa, un’organizzazione mondiale di apostolato islamico, che dirottava verso la cellula i fondi che raccoglieva presso le comunità afghane e pakistane nelle province di Brescia e Bergamo.
Il denaro raccolto arrivava poi in Pakistan attraverso vari canali, sfruttando le reti informali di trasferimento di fondi usate dagli emigranti per le rimesse, o più semplicemente nascondendo forti somme in contanti nei bagagli in occasione dei viaggi.
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