In una Italia che annaspa e sente mancare la terra sotto i piedi per una crisi che siamo ben lontani dal debellare, riesce francamente difficile digerire l’ennesimo scandalo e mandare giù l’ennesima storiaccia di furbi, malaffare e tangenti. E stavolta, anche se non è la prima, gli schizzi di fango e petrolio raggiungono in pieno l’Eni. Spiegare a quanti non riescono ad arrivare a fine mese e all’esercito crescente di senza lavoro perchè alcuni fortunatissimi manager pubblici possano beneficiare di tanto potere e di tanta generosità da parte della politica è francamente un lavoro improbo. E forse anche inutile. Però meglio lasciare traccia del proprio disappunto attraverso qualche considerazione che va comunque fatta per lenire almeno la rabbia di chi assiste impotente alla sopravvivenza di una casta di ladri di stato e no, che dai tempi di Tangentopoli si cerca di mandare a casa, con scarsissimi se non inesistenti risultati.
La storia dell’Eni è una storia di tangenti da sempre. Nel Dna dell’industria petrolifera di stato continuano a circolare indistruttibili i cromosomi di Enrico Mattei, il mitico personaggio che nell’interesse del Paese osò sfidare i grandi poteri dell’energia ed il ruolo dominante delle Sette sorelle (le maggiori multimazionali del petrolio angloamericane) che dal dopoguerra in poi fecero bello e cattivo tempo, politico militare e finanziario, in tutto il pianeta. La sfida gli costò cara e pagò con la vita l’aver scelto la strada della contrapposizione dura e tremenda con i padroni del vapore che il mondo dell’economia lo dominavano con cartelli oligopolistici, indiscutibili, quasi sempre sostenuti da tangenti minacce e ricatti per chi vendeva e chi comprava petrolio in ogni angolo della terra. L’Eni a cominciare dal suo fondatore si adeguò a questa logica e con gli anni, anche e soprattuitto quando fini la strapotere delle sette sorelle affinò la tecnica. Però con un elemento di novità. I guadagni e le possibilità di sviluppo del business, ovvero l’opportunità di guadagnare e distribuire utili, con gli anni, dallo stato si spostò sempre più verso il sistema politico e le tasche dei grandi manager.
Scelta fatale che a partire dagli anni Settanta ottanta e a seguire, portò ad una autentica fusione di interessi tra boiardi di Stato e partiti, tra manager targati politicamente e casta. Il più delle volte conditi da partecipazioni della delinquenza organizzata a fare da manovalanza e killeraggio nei momenti di tensione e conflitto. Di interessi ovviamente. Ed eccoci agli sviluppi dell’inchiesta di Milano con i pm e la Procura impegnati a ricostruire una sporca storia di corruzione internazionale che attraverso un vorticoso giro di centinaia di milioni di euro e dollari vede coinvolti personaggi non noti ma arcinoti al mondo dell’economia e della finanza ma anche alle procure. Ed ecco rispuntare i nomi di Paolo Scaroni ex amministratore delegato dell’Eni che insieme all’attuale guida Claudio Descalzi ed un folto gruppo di mediatori, italiani e nigeriani, pilotati e coordinati dal faccendiere Luigi Bisignani erano pronti ad intascarsi cifre da capogiro versate su conti svizzeri ed inglesi.
Adesso dobbiamo chiederci: ma perchè da sempre la politica vecchia e nuova si avvale di questi dinosauri del malaffare? Le inchieste che hanno visto nel tempo l’Eni gli Scaroni, i Bisignani e compagnia cantando non si contano da decenni. Il malaffare ha sempre ruotato intorno a questa gente. Scaroni in particolare, per i giudici di Milano, che insieme a Descalzi avrebbe “organizzato e diretto l’avvità illecita” finì in galera già all’epoca di Mani Pulite. Dunque, come è possibile che ventitrè anni dopo quest’uomo sia ancora in pole position in uno tra i più importanti gruppi economici e finanziari pubblici? Come è possibile che personaggi inquitentanti come Bisignani, dopo le inchieste e le batoste giudiziarie ricevute siano ancora lì a pescare nel torbido e tramare come se nulla fosse?
La verità incoffessabile per tutti è che questi uomini da decenni lavorano per sè garantendo al mondo della politica prebende e vantaggi che in un momento come questo sono autentici schiaffi in faccia a chi non ce la fa e a chi dalle istituzioni come dal management pubblico si attenderebbe ben altre scelte e ben altri comportamenti. Ma ancora una volta volano gli stracci dei ladri e dei faccendieri mentre resta sostanzialmente immune dalle ricadute la classe di chi protegge questi soggetti i quali evidentemente godono di un potere ricattatorio che li mette al sicuro da tutto.
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