Il terrorista algerino Mokhtar Belmokhtar, uno degli uomini più ricercati del Nordafrica, sarebbe rimasto ucciso in un raid USA ad Ajdabiya, in Libia.
Testimoni oculari parlano di un attacco precisissimo, compatibile con quei sistemi di puntamento laser di cui dispongono gli americani, ma non gli alleati di Tobruk. È la prima operazione militare condotta direttamente dagli USA in territorio libico dopo l’intervento nella guerra civile che portò alla caduta e alla morte di Muammar Gheddafi, nel 2011.
Secondo fonti non ufficiali, il Pentagono avrebbe agito senza informare gli alleati libici, che però hanno smentito con decisione.
Prima della conferma americana, Tobruk aveva annunciato la morte di sette militanti legati ad Ansar al-Shari’a nella città della Cirenaica, che dista circa 150 km da Bengasi e 400 dalla sede del governo internazionalmente riconosciuto.
Il Pentagono ha confermato che il bersaglio del raid fosse proprio Mokhtar Belmokhtar, ma sull’esito dell’operazione mantiene per ora il più stretto riserbo. Non è la prima volta, d’altronde, che fonti ufficiali annunciano la morte della primula rossa del terrorismo nordafricano, per poi essere costrette a ritrattare. È già accaduto almeno quattro volte, l’ultima nel 2013, quando l’esercito del Ciad aveva annunciato di averlo ucciso in un raid contro i separatisti in Mali.
Nato nel 1972 in Algeria, nei primi anni ‘90 Mokhtar Belmokhtar aveva combattuto contro l’URSS in Afghanistan, dove aveva perso l’occhio sinistro.
Al suo ritorno in patria aveva partecipato alla guerra civile e si era avvicinato ad al-Qa’ida nel Maghreb Islamico (AQMI), braccio nordafricano della multinazionale del terrorismo, allora in piena ascesa. Poi si mise in proprio e si costruì un impero criminale: trafficava in armi, esseri umani, sigarette – il che gli fruttò il soprannome di Mr. Marlboro – e organizzava sequestri di occidentali a scopo di estorsione.
Ribattezzato “l’Inafferrabile” dai francesi, dopo la caduta di Gheddafi aveva iniziato a operare anche in Libia, dove collaborava con Ansar al-Shari’a, e in Mali, dove aveva preso parte alla guerra civile, con altri gruppi di foreign fighters, a fianco degli indipendentisti dell’Azawadd.
Ha rivendicato il sequestro, nel 2013, di oltre 800 dipendenti di un impianto di estrazione di gas nei pressi di Is Amenas, in Algeria. La vicenda si concluse con un sanguinoso blitz delle forze dell’ordine: oltre a 29 sequestratori e una guardia giurata, morirono 39 ostaggi.
F.M.R.