Trent’anni fa ci toglievano ‘Portobello’, lo storico mercatino del venerdì, trasmissione destinata a diventare una pietra miliare della storia della televisione e una miniera di idee per la tv che verrà. Al programma, che aveva tenuti incollati alla tv anche 27 milioni di italiani per sera, veniva a mancare il 18 maggio del 1988 il suo conduttore nonché ideatore, il giornalista Enzo Tortora. Se ne andava prematuramente all’età 59 anni, ferito mortalmente nel corpo e nello spirito da un’accusa infamante di due infami e da una assurda vicenda giudiziaria che lo ha visto, da innocente, condannato dapprima a vent’anni di carcere e solo successivamente assolto con formula piena.
La vicenda di Enzo Tortora, che ancora oggi brucia molto, iniziava il 17 giugno 1983, giorno in cui alle prime ore dell’alba – ma non così presto da non permettere a fotografi e cameramen di immortalare il ‘reo’ mentre veniva portato via con le manette ai polsi – era prelevato dal Plaza Hotel di via del Corso, a Roma, per essere tradotto in carcere. Lo arrestavano per traffico di stupefacenti e associazione di stampo camorristico, chiamato in causa da due pentiti: Giovanni Pandico, in carcere da 13 anni, scrivano e segretario di Raffaele Cutolo, e Pasquale Barra, ‘o animale’, come era definito per la sua crudeltà nell’ammazzare. L’accusa si basava su un’agendina, trovata nell’abitazione di un camorrista, con sopra un nome scritto a penna ed un numero telefonico: in seguito le indagini calligrafiche proveranno che il nome non era Tortora bensì Tortona e che il recapito telefonico non era quello del presentatore.
L’ incubo giudiziario di Enzo Tortora iniziava allora per durare quattro anni. Il numero dei pentiti che fece il suo nome arrivò a 19, e se le accuse inizialmente erano generiche e piene di contraddizioni, con il tempo si fecero sempre più dettagliate: questo a causa del fatto che i pentiti potevano parlare tra di loro, scambiarsi opinioni; durante i processi, per esempio, quando si ritrovavano tutti nella stessa cella. Secondo le dichiarazioni dei pentiti, quindi, Tortora controllava lo spaccio di stupefacenti a Milano, ma queste affermazioni arriveranno solo dopo mesi.
“Fu un’esperienza fondamentale (per la giustizia italiana, ndr) e molto venne fatto a seguito di quella vicenda come per esempio la gestione dei collaboratori di giustizia”, ha detto il Procuratore generale di Roma Giovanni Salvi intervenendo al convegno dal titolo ‘Caso Tortora Caso Italia’ organizzato in occasione del trentesimo anniversario dalla morte di Enzo Tortora. “Come magistratura – ha aggiunto – abbiamo guadagnato molto a livello professionale ma l’ansia di rispondere all’opinione pubblica è rimasta molto forte e questo è un rischio”.
Una “pagina di vergogna della storia giudiziaria ma anche civile italiana”: lo ha dichiarato il presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati. “Ma quanti Tortora ci sono nelle carceri italiane? Quante persone subiscono il torto di non potersi difendere, di non poter parlare? Quanti si scontrano di fronte a un muro di incomunicabilità che troppo spesso divide i cittadini dalle amministrazioni, dalle istituzioni, dalle ottusità delle burocrazie. A queste persone Tortora voleva dare voce” ha aggiunto. Per questo, ha concluso Casellati, “è un bene che anche oggi in un luogo istituzionale come il Senato se ne parli. Perché non si dimentichi mai quello che accadde trent’anni fa e perché soprattutto i più giovani, in una società digitalizzata dove la costruzione del mostro conosce mezzi di diffusione nuovi e più rapidi, vengano a conoscenza di un vero atto di barbarie sociale”.
Giornalista per caso. Anni di ufficio stampa in pubbliche istituzioni, dove si legge e si scrive solo su precisi argomenti e seguendo ferree indicazioni. Poi, l'opportunità di iniziare veramente a scrivere. Di cosa? di tutto un po', convinta, e sempre di più, che informare correttamente è un servizio utile, in certi casi indispensabile.
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