Fermati i mastini della guerra a dieci minuti dall’attacco, Trump, dopo averci ripensato, insiste nel rafforzare le sanzioni contro l’Iran e resta in attesa del prossimo vertice economico G20 previsto a Osaka il 28 e 29 giugno. Qui incontrerà il presidente cinese Xi Jinping, ma soprattutto il presidente della federazione russa Vladimir Putin con cui tenterà un’ulteriore mediazione su tutte le questioni aperte dalla politica aggressiva degli ayatollah di Teheran. Contrariamente alla drammatica evoluzione degli ultimi giorni, il Presidente americano, con un occhio alle prossime elezioni presidenziali in cui chiederà agli USA di confermarlo alla guida della Casa Bianca, tenta la strada degli accordi pur mantenendo alta la tensione economica e finanziaria su un Iran già fortemente pressato dalle sanzioni. L’importazione di medicine, cibo, beni di prima necessità, ma anche dei pezzi di ricambio per gli aeromobili, le esportazioni di prodotti nazionali come tappeti e pistacchi, ma anche del petrolio, tutto è sottoposto alle severe regole restrittive e punitive imposte dagli Stati Uniti.
E se l’Iran è asfissiato dall’embargo statunitense, spera ancora nell’aiuto inviatogli dagli europei. Francesi, tedeschi e britannici, insieme agli altri Paesi della Commissione europea, hanno fatto di tutto nell’ultimo anno per salvare la struttura del proprio accordo dalle bordate di Trump. Ma non sono stati capaci di offrire a Teheran l’ossigeno economico di cui ha bisogno per sopravvivere.
Trump, che è letteralmente ossessionato da Hassan Rouhani da dichiarare, all’epoca della propria campagna elettorale, di sognarselo anche di notte, aveva criticato il testo dell’accordo tra Iran e Comunità Europea definendolo “il peggiore della storia” e promettendo di cancellarlo una volta eletto.
E così dal suo insediamento nella Casa Bianca, non ha perso occasione di tweettare contro il nemico, postando dichiarazioni di guerra in sequenza quotidiana. La reazione di Teheran non si è fatta attendere e l’ultimo atto di questa escalation è l’annuncio di voler violare, il 27 giugno, l’accordo internazionale sul nucleare, accumulando una quantità di uranio arricchito superiore a quella prevista dal testo degli accordi. È una decisione che rischia di innescare una reazione a catena.
Passo dopo passo ci avviciniamo a una situazione in cui tutto sarà possibile, compreso uno scontro frontale che nessuno si augura di vedere.
Intanto giungono solerti le parole del premio Nobel per la pace 2003, Shirid Ebadi, iraniana, avvocato, perseguitata nel suo paese: “la gente muore di fame in Iran, mancano soldi e cibo, servono ospedali e scuole, il regime sostiene spese militari enormi, dimenticando la popolazione, l’embargo colpisce le persone e rafforza la dittatura”, una situazione disperata tra disperati.
Ma come si è arrivati a tutto questo? Ripercorrendo la storia di questo odio ossessivo tra i due paesi, come non ricordare il 1978 dove con la fuga dello Scià di Persia Mohammad Reza Pahlavi e il trionfale ritorno dell’Ayatollah Khomeini scoppiò la scintilla che fece esplodere la cosiddetta “crisi degli ostaggi”. La presa di posizione degli americani in soccorso del povero sovrano malato, innescò una violenta protesta da parte degli studenti universitari, che il 4 novembre 1979 sfociò nell’assalto dell’ambasciata USA a Teheran. Nell’attacco, 52 diplomatici e funzionari vennero presi in ostaggio e solo 6 riuscirono a fuggire.
Gli ostaggi vennero liberati il 20 gennaio 1981, in seguito a un accordo siglato dal nuovo presidente USA, Ronald Reagan, per fornire armi all’Iran nella guerra contro l’Iraq, perlatro anch’esso finanziato e armato dagli USA.
Il Presidente Carter, prima del cambio della sua presidenza, per salvare la faccia e l’onore, emise il primo ordine esecutivo contro l’Iran, era il novembre del 1979. Congelò circa 12 miliardi di dollari in attività iraniane, inclusi depositi bancari, oro e altre proprietà. Da lì in poi l’inasprimento delle sanzioni contro i persiani sono state una vera e propria prerogativa di quasi tutti i presidenti americani che si sono succeduti.
Ronald Reagan, Bill Clinton, George W. Bush, Obama e in ultimo Trump, hanno adottato sanzioni sempre più restrittive: una vera e propria condanna per gli iraniani, che hanno assistito alla progressiva morte civile del proprio Paese, al rafforzamento del regime estremista, alla decadenza della storia millenaria Persiana.
Il capo americano, con il suo carattere imprevedibile, ha decretato che tra otto giorni nemmeno una goccia di petrolio potrà più lasciare il territorio iraniano, pena pesanti sanzioni contro il paese importatore. Siamo alla resa dei conti: l’Iran dovrà rispettare le regole del diritto internazionale e rinunciare agli armamenti nucleari. Di contro non resta che sperare nella capacità di mediazione di Putin al G20 di Osaka.
Barbara Ruggiero
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