Tensione sempre più alta in Ucraina: i filorussi hanno annunciato che il referendum sulla separazione del sud – est ucraino dal resto del Paese si terrà nella data prevista, l’11 maggio.
Non sono stati accolti, quindi, gli appelli lanciati da Maja Kocijancic, portavoce di Catherine Ashton, l’alto rappresentante per gli Affari Esteri e la politica di sicurezza dell’Ue, per la quale questi “non hanno alcuna legittimità democratica”, “possono solo peggiorare la situazione” e “non si devono tenere né l’11 maggio né mai”.
Di più: disattesi anche gli inviti di Putin a postergare la data della consultazione in attesa di avviare il difficile dialogo con Kiev. Una decisione che deve aver preso in controtempo persino il premier russo che ha dichiarato di aver bisogno di tempo per valutare la decisione presa dai separatisti ucraini filorussi di ignorare la sua richiesta di posticipare il referendum.
“Abbiamo bisogno di ulteriori informazioni. È uno sviluppo inatteso“, ha dichiarato il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov.
Non da meno, quanto a detrminazione, il governo ad interim ucraino che, per bocca del segretario del consiglio per la sicurezza nazionale per la difesa dell’Ucraina, Andriy Parubiy, aveva già fatto sapere che le operazioni militari nel sud – est sarebbero proseguite a prescindere dalla decisione dei filorussi di posticipare il referendum o di tener ferma la data dell’11 maggio.
Del resto, molto chiara appare la posizione del presidente ad interim ucraino, Oleksandr Turcinov, che, riprendendo quanto già sostenuto dal premier Arseni Iatseniuk, ha ribadito che: “Siamo pronti a discutere con i rappresentanti delle amministrazioni locali, con gli attivisti pubblici e gli imprenditori delle regioni di Donetsk e Lugansk, ma gli Stati civilizzati normalmente non parlano con criminali armati con mani sporche di sangue“.
Un no inequivocabile ad ogni ipotesi di dialogo con i filorussi, dunque.
Ma sul tavolo della crisi ucraina non c’è solo il referendum sulla separazione ma anche le imminenti (si dovrebbero tenere il 25 maggio, ndr) elezioni presidenziali nell’ex Repubblica sovietica. Per Mosca la legittimità di queste ultime non è incondizionata. Tutt’altro. Il Cremlino, infatti, pretende: 1) la cessazione delle operazioni militari nel sud – est del Paese; 2) l’avvio di un dialogo tra le parti.
”Come ha detto ieri (mercoledì 7, ndr) il presidente Putin, l’elezione e’ un passo nella direzione giusta, ma puo’ essere legittima solo se questa ‘operazione punitiva’ e’ fermata e solo se sara’ lanciato un dialogo inter-ucraino”, ha dichiarato, citato da Interfax, il portavoce di Putin, Dmitry Peskov.
Ad ulteriore conferma di quanto la situazione sia divenuta incandescente, le parole, affidate ad alcuni tweet, di Anders Fogh Rasmussen, segretario generale della Nato: “se vedessimo delle prove certe di un ritiro significativo dai confini ucraini, sarei il primo a esserne felice“.
Un estenuante gioco di aperture, reali o di facciata, che nasconde un muro contro muro che sta tenendo con il fiato sospeso anche gli Usa e tutti gli altri Paesi aderenti alla Nato. Dalle conseguenze ancora difficili da preconizzare. Ma che, di certo, sta già costando molte, troppe vite umane.
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