200 anni fa nasceva Gioacchino Ersoch, architetto, urbanista e inventore a Roma in un periodo storico in evoluzione nel pieno dell’unificazione nazionale italiana. Alla sua opera il Museo di Roma a Palazzo Braschi dedica, dal 16 maggio al 20 settembre, uno spazio espositivo, “Gioacchino Ersoch (1815-1902). Un architetto per Roma capitale”. Due sale accolgono le stampe, i progetti e le foto dei suoi lavori più significativi, ma l’allestimento della mostra risulta scarno e assai poco coinvolgente.
Ersoch era di origine svizzera, ma nacque a Roma nel 1815. Cominciò la sua carriera di architetto intorno alla metà del XIX secolo, Roma divenne l’ambiente che accolse i suoi progetti dall’inizio alla fine ed egli divenne per la città una figura centrale dal punto di vista architettonico e urbanistico. Concepì edifici abitativi e pubblici. La sua opera più grande e che più lo ha reso notofu la realizzazione di un piano generale per la distribuzione dei mercati della città, in modo particolare il progetto per il nuovo Mattatoio di Testaccio, impresa considerevole anche da un punto di vista tecnologico. Riqualificò il cimitero del Verano ispirandosi all’idea di una “passeggiata commemorativa”.
Ma si dedicò anche all’arredo e molto all’allestimento di fantastici apparati effimeri e spettacoli pirotecnici in occasione di eventi speciali quali la visita dell’imperatore di Germania Guglielmo II, le esequie per la Duchessa d’Aosta o le macchine incendiarie di Castel Sant’Angelo e del Pincio. Tutti i suoi lavori fanno rivivere un certo gusto neorinascimentale assai ricco anche se a tratti un po’ falso.
Alla mostra a lui dedicata manca però una visione d’insieme, una presentazione organica non solo di quella che fu la figura di Ersoch, ma anche e soprattutto della Roma in cui visse ed operò. La mostra non coinvolge e non arriva a raccontare nemmeno lontanamente le atmosfere e i cambiamenti di un’epoca assai particolare. Più di tutto non si percepisce come la figura creativa di questo architetto e al sua attività professionale assorbirono e riproposero nei progetti un passaggio storico cruciale per la nuova capitale d’Italia: dalla Roma dei papi alla Roma umbertina, dai palazzi rinascimentali e barocchi dell’antica nobiltà “nera” ai più pratici e funzionali palazzi e strade tagliati da grandi viali alberati. Si riduceva la città della Suburra e si ampliava la città moderna dei servizi.
In realtà per analogia questo è quanto accade anche all’intero Museo di Roma che ospita la mostra. Un ambiente ricco sia al livello architettonico che sul piano delle opere, ma che risente di una sistemazione piatta e faticosa, in cui le opere sono esposte con poca attenzione all’illuminazione e pochissimi sussidi sia descrittivi che audiovisivi.
Vania Amitrano
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