La ristrutturazione dell’attico dove vive l’ex Segretario di Stato vaticano, il cardinal Tarcisio Bertone, sarebbe stata pagata dalla Fondazione Bambin Gesù, istituita per assicurare cure mediche ai bambini bisognosi.
È solo una delle rivelazioni contenute in Avarizia, il libro di Emiliano Fittipaldi che uscirà il prossimo 5 novembre. Lo stesso giorno arriverà nelle librerie anche Via Crucis di Gianluigi Nuzzi, l’altro titolo in parte frutto delle fughe di notizie costate l’arresto a monsignor Lucio Angel Vallejo Balda, segretario della Prefettura degli Affari economici, e alla PR Francesca Immacolata Chaouqui.
Bertone ha lasciato la carica di Segretario di Stato nel dicembre 2014, quando ha compiuto ottant’anni, ed è stato sostituito da Pietro Parolin. Da allora vive in un superattico di 700 metri quadri a pochi passi dal Vaticano. La vicenda non era passata inosservata nemmeno allora, ma soprattutto perché Papa Francesco aveva criticato la sua scelta, che – oltre a contraddire lo spirito di sobrietà del suo pontificato – gli permette di continuare a esercitare un’influenza politica sulla Curia anche nell’età della pensione.
Ora invece spunta un conto di 200 mila euro, pagato dalla Fondazione alla Castelli Real Estate, l’azienda che ha ristrutturato la lussuosa abitazione. Giuseppe Profiti – fino a pochi mesi fa presidente della Fondazione e dell’ospedale pediatrico omonimo – non nega di aver speso quella cifra. “È vero: con i soldi stanziati da noi è stata ristrutturata una parte della casa di Bertone. Cercando di ottenere in cambio la disponibilità di poter mettere a disposizione l’appartamento”.
A giudicare da quanto pubblicato nei due libri, la gestione delle finanze vaticane è quantomeno lacunosa.
“Senza esagerare possiamo dire che buona parte dei costi sono fuori controllo”, dice il Papa in una riunione a porte chiuse registrata a sua insaputa e finita nel libro di Nuzzi. La Santa Sede non conosce il valore del suo patrimonio e non sa quanto spende. La COSEA (“Commissione referente sull’organizzazione della struttura economica e amministrativa”), istituita nel 2013 nel tentativo di fare chiarezza e guidata da monsignor Vallejo – che aveva personalmente inserito Chaouqui nella rosa dei collaboratori tecnici –, deve ammettere di “non essere in grado di completare la posizione finanziaria consolidata a causa della mancanza di dati fondamentali”.
Tanto per fare un esempio, la Segreteria di Stato vaticana si sarebbe rifiutata di fornirle notizie sull’Obolo di san Pietro, una forma di finanziamento volontario offerto dai fedeli al Santo Padre “per le molteplici necessità della Chiesa universale e per le opere di carità in favore dei più bisognosi”. L’Obolo, stimato in circa 400 milioni di euro, è “escluso dal bilancio consolidato”. Secondo Fittipaldi serve per le “spese ordinarie e straordinarie dei dicasteri e delle istituzioni della curia romana”.
Nuzzi approfondisce la questione della valutazione del patrimonio immobiliare del Vaticano. Nel portafoglio dell’APSA (“Amministrazione del patrimonio della sede apostolica”), a bilancio per quattrocento milioni di euro, ci sarebbero in realtà immobili per 2,7 milioni. Fittipaldi allarga la visuale e rincara la dose: “Ci sono 26 istituzioni relazionate alla Santa sede – scrive, citando un rapporto della COSEA – che possiedono beni immobiliari per un valore contabile totale di un miliardo di euro al 31 dicembre 2012”. Ma “una valutazione di mercato indicativa dimostra una stima del valore totale dei beni di quattro volte più grande rispetto al valore contabile, o quattro miliardi di euro”. Oltretutto molti immobili, tra cui diverse sedi istituzionali, hanno valutazioni puramente simboliche – spesso un euro – o sono registrati all’irrisorio costo di donazione. “Dunque – conclude – c’è da aspettarsi che il valore di mercato del real estate vaticano sia molto più grande”.
Lo scandalo scoperto da Vatileaks 2, insomma, può raggiungere proporzioni storiche.
Chaouqui e Vallejo rischiano fino a otto anni di reclusione: la legge n. IX del Vaticano, del luglio 2013, ha introdotto il reato di divulgazione di notizie e documenti riservati all’articolo 116 bis del Codice penale d’Oltretevere.
La PR sta collaborando con gli inquirenti ed è stata scarcerata già ieri: a suo carico, secondo l’ufficio del Promotore di giustizia – l’equivalente del PM nell’ordinamento di Oltretevere –, “non sono più state ravvisate esigenze cautelari”. “Il fatto che il mio cliente stia collaborando non significa che si sita autoaccusando, ma semplicemente che sta fornendo materiale utile alle indagini”, ha affermato la sua legale, Giulia Bongiorno.
La posizione di monsignor Vallejo invece “rimane al vaglio dell’Ufficio del Promotore di Giustizia”. Il prelato è agli arresti nel Palazzo della Gendarmeria, nella stessa cella che nel 2012, ai tempi del primo Vatileaks, ospitò il corvo Paolo Gabriele, in seguito condannato e graziato.
Ai commentatori non è sfuggito che gli unici due indagati, per ora, siano stati entrambi nominati da papa Francesco nel suo tentativo di riformare la Curia.
Il loro rapporto con il Pontefice, però, si era incrinato da tempo. Chaouqui era stata criticata già ai tempi della sua nomina alla COSEA per una serie di tweet contenenti – oltre a varie accuse omofobe – informazioni riservate e accuse dirette al cardinal Bertone.
Di monsignor Vallejo, invece, non erano passate inosservate le irrituali ostentazioni di potere: come quando a febbraio 2014, durante la cerimonia di canonizzazione dei papi Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, sulla terrazza della Prefettura organizzò un ricevimento per pochi fortunati costato circa ventimila euro – sborsati da sponsor privati – e definito da papa Francesco “uno schiaffo”. Una volta concluso il mandato della COSEA, monsignor Vallejo sperava di essere nominato alla guida della neonata segreteria per l’Economia, ma il Papa gli ha preferito il cardinale australiano George Pell, un’altra figura in grado di spaccare il Sacro collegio.
Intanto le indagini non si fermano: la gendarmeria vaticana si sta occupando anche di un attacco informatico subito dal computer personale del Revisore generale della Santa Sede, Libero Milone.
Filippo M. Ragusa
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