Venezia, Hungry hearts di Costanzo commuove il pubblico del Festival

Dieci minuti. Tanto sono durati gli applausi tributati a Hungry hearts, lungometraggio del trentanovenne Saverio Costanzo presentato domenica 31 agosto alla 71° edizione del Festival del Cinema di Venezia. La pellicola, dal titolo che rimanda ad una nota canzone di Bruce Springsteen, racconta una storia forte e tormentata, liberamente ispirata a Il bambino indaco di Marco Franzoso (Einaudi, 2012), che il regista lesse un anno e mezzo prima di scrivere la sceneggiatura, ad un tempo attratto e respinto dall’intensità del libro.

Al centro della vicenda, ambientata a New York, la relazione tra un ingegnere americano (Adam Driver) e un’italiana che gravita attorno all’ambasciata (Alba Rohrwacher), da cui scaturirà la nascita di un bambino speciale – “indaco”, secondo la definizione di un veggente d’accatto. La madre lo riveste di attenzioni e premure coercitive. Cerca in tutti i modi di tenerlo lontano dalle impurità del mondo, partendo dall’alimentazione, improntata ad una rigorosa dieta vegana. Il bambino comincia a presentare problemi di crescita, la sua salute vacilla. La situazione degenera, s’inaspriscono i conflitti, le incrinature diventano crepe: contro la nuora interviene la nonna americana (Roberta Maxwell), e il padre matura una decisione difficile.

Girato in inglese, Hungry hearts si rivela un film delicato e toccante sul confine, a volte labile, tra amore e ossessione.

«Non so – scandisce Costanzo riguardo alla dialettica intercorrente tra i personaggi – dove sia la ragione e dove il torto. Noi ci siamo limitati a guardare la vita di questi tre personaggi con tenerezza, con dolcezza, senza giudizio, senza prendere posizione».