Gli avvocati dello Stato sono sul piede di guerra, pronti a tre giorni di agitazione. Il testo del nuovo decreto di riforma della PA, anche se materialmente non ancora emanato e suscettibile di revisioni, prevede, in ogni caso, una drastica riduzione della retribuzione di una delle categorie più ricche e privilegiate del pubblico impiego. Per almeno due motivi: 1) al pari del Consiglio di Stato o della Corte dei conti, gli avvocati dello Stato rappresentano un serbatoio dal quale i governi attingono per gli incarichi fiduciari; 2) la loro retribuzione che, già lauta, ad oggi risulta ulteriormente rimpinguata in virtù di una risalentissima normativa del 1933 ( e successive modifiche) che stabilisce che debba loro esser corrisposto anche un onorario per le cause vinte o per quelle nelle quali il giudice abbia stabilito la compensazione delle spese fra le parti (in pratica ognuno si paga i suoi legali). Solo per quanto rifuarda gli ultimi due anni, si parla di 87 milioni e mezzo di euro. Quindi, fra i 43 e i 44 milioni l’anno. Che divisi per il numero degli avvocati dello Stato (347) fa più di 126 mila euro l’anno per ciascuno in media. E, si badi bene, ci si riferisce, per l’appunto, alla “media” e si tralasciano i picchi. Il tutto accompagnato ad uno stipendio di 234 mila euro all’anno per ciascun avvocato. Sempre di “media”.
Di fronte a tali cifre perchè allora tanta preoccupazione da parte di una categoria così opulenta, tanto da esser considerata, non a torto, l’èlite della PA?
L’ira degli avvocati dello Stato nasce dal passaggio del decreto in cui si enuncia che quando il giudice compensa le spese, i legali dipendenti dello Stato non avranno più diritto ad alcun onorario. Nel caso, invece, di cause vinte con liquidazione della parcella ai legali del vincitore, l’onorario dovrebbe essere ridotto in misura drastica: anche al 10 per cento. E dato che le cifre derivanti dalle compensazioni sono di gran lunga le più rilevanti (quasi 70 milioni sugli 87 e mezzo dell’ultimo biennio), ecco che il bonus si ridurrebbe più che sensibilmente.
Con ogni probabilità non servirà a far passare il “mal di pancia” agli inferociti legali l’inedito riconoscimento all’Avvocatura dello Stato, una macchina che oltre ai 347 burocrati conta 772 dipendenti sparsi tra le 26 sedi sul territorio nazionale, di un’ “autonomia amministrativa finanziaria e contabile“. Questo vuol dire che i denari delle parcelle “private” anziché passare come ora attraverso l’Erario, e arrivare spesso con il contagocce, verrebbero incassati subito e senza intermediari.
Il decreto potrebbe avere un “effetto domino” su tutti gli uffici legali degli enti pubblici e magari anche degli enti locali. Dove il modello imperante è proprio quello degli avvocati dello Stato centrale, al punto che il reddito dei legali dipendenti pubblici è oggi decisamente superiore a quello della media di chi esercita la libera professione. In più con la garanzia di un contratto a tempo indeterminato. L’esempio del Comune di Roma, in questo caso, è illuminante: alcuni avvocati capitolini, grazie alla cospicua integrazione, sono arrivati a superare i 300mila euro.
Un’iniziativa, lo sciopero di tre giorni, che ha davvero il sapore di uno schiaffo alla crisi.
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